Il personaggio

giovedì 28 Novembre, 2024

Heribert Mayr racconta Jannik Sinner dalle origini al trionfo: «Il suo segreto è la forza mentale»

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Parla il maestro del Tennis Club di Brunico, ex tecnico dell’attuale numero 1: «Jannik nel 2025 metterà nel mirino Roland Garros e Wimbledon, che gli mancano. Può raggiungere ancora molti traguardi»

«Sinner, come testa, è superiore a qualsiasi altro giocatore. Era così anche da piccolo. È una dote naturale, quella: la testa ce l’hai o non ce l’hai».
Sorride sornione Heribert Mayr, allenatore del Tennis Club di Brunico, dov’è cresciuto il numero 1 del mondo Jannik Sinner, che lì si è allenato fino al 2015 prima di partire per Bordighera e l’accademia di Riccardo Piatti. Mayr, 68 anni, è ancora sul pezzo, lo trovi in campo dalla mattina alla sera a insegnare tennis ai ragazzini. Sinner è un’icona e un riferimento per tutti loro, non solo per come gioca: «Jannik è rimasto quello di sempre, un ragazzo semplice, attaccato alle radici e alle persone con cui è cresciuto. Ci siamo visti a Torino alle Atp Finals, mi ha invitato lui e siamo stati insieme a lungo».
Cosa vi siete detti?
«Abbiamo parlato di tutto, tranne che di tennis. Famiglia, amici, la Val Pusteria. Ma sul piano tecnico ovviamente non mi intrometto più. Il mio con lui l’ho già fatto».
È orgoglioso, dica la verità…
«Be’ chiaro, credo di averci messo qualcosa anch’io. Poi che lui fosse forte lo si è sempre saputo, ma è diventato numero 1 con l’impegno e una dedizione al lavoro unica. Anche questa, una sua predisposizione naturale».
Che bambino era Sinner?
«Solare. Sempre col sorriso. Era un piacere allenarlo. È rimasto così: in campo è molto serio, fuori è allegro, leggero, spensierato».
Quando ha scelto di mollare lo sci e di giocare seriamente a tennis, lo ha detto a lei per primo.
«Aveva 12 anni. Da due gli stavo sotto. Gli dicevo: “Cosa vuoi fare da grande, il tennis o lo scii?”».
E lui?
«Ogni volta mi rispondeva che non lo sapeva…»
Poi?
«Un giorno arrivò al campo e mi disse: “Maestro, lascio lo sci”. Ero perplesso, lui era campione italiano di sci e il tennis era ancora un hobby, da due volte alla settimana. Sia chiaro, era già molto bravo e vinceva i tornei con i pari età, con i più grandi invece perdeva. Altri avrebbero continuato nello sport in cui erano più forti, lui fu lungimirante».
Perché?
«Aveva capito di essere leggerino fisicamente per lo sci, infatti iniziava ad accusare il colpo. E Jannik è uno che ha sempre voluto vincere…»
Si arrabbiava perfino con lei quando lo batteva…
«Spesso era avanti 5-2 al tie-break e poi lo superavo. Non le dico i pianti di rabbia».
Oggi è un 23 anni composto, ma da ragazzino ogni tanto si lasciava andare…
«A 10-11 anni soffriva di nostalgia appena si allontanava da casa per un torneo. Però resisteva, faticava e arrivava fino in fondo. Sapeva che se voleva prendere una certa strada avrebbe dovuto scrollarsi di dosso certe paure. Una grande prova di maturità».
Anche adesso, nel sentirlo parlare, Sinner sembra più grande della sua età.
«Fin da piccolo ha trascorso molto tempo da solo, perché i suoi genitori hanno sempre lavorato. Così ha imparato a gestirsi, a essere responsabile, autonomo, a scegliere. Pensi che quando è venuto da me la prima volta, suo papà, che lo accompagnava, mi disse: lei è il maestro, ci pensi lei. Tornò alla fine della lezione. La famiglia non si è mai intromessa».
Perfino quando a 14 anni ha lasciato casa per crescere a Bordighera.
«Suo papà e sua mamma sono persone discrete. Non gli hanno mai messo pressione».
Mi ha confidato di essersi commosso quando Sinner ha vinto il primo Slam, l’Australian Open. Oggi si è abituato?
«No, mi commuovo ancora a ogni vittoria di Jannik. È stato così pure a Torino. È stato così quando è diventato numero uno e quando ha vinto gli Us Open».
Durerà in vetta?
«Sì, perché lui non si accontenta mai. Poi, certo, dipenderà anche dagli avversari».
Chi può insediarlo?
«Alcaraz e anche Zverev. Forse Fritz potrebbe dire la sua se migliora il gioco di gambe, in campo si muove male. Poi vediamo se viene su qualche giovane».
Si diceva di Rune e Shelton, ma si sono un po’ fermati…
«Shelton non so, non mi convince. Rune è bravo, ma non puoi cambiare tre allenatori in un anno. Non può funzionare così.».
Sinner ha cambiato una volta, lasciando Piatti, quasi tre anni fa. Ci ha visto lungo anche lì…
«Ero scettico. Intendiamoci, il desiderio di cambiare era comprensibile, ma io avrei aspettato un anno, stava smettendo Federer e si sarebbe liberato Ljubicic. Invece ha avuto ragione Jannik scegliendo Vagnozzi e poi anche Cahill».
Dice che Sinner non si accontenta mai. Quali obiettivi si fisserà?
«Be’ ha vinto già tantissimo, ma non tutto. In carriera può raggiungere altri traguardi importanti: le Olimpiadi, il Grande Slam (vincere tutti i quattro Slam in un anno, ndr), già l’anno prossimo metterà nel mirino Roland Garros e Wimbledon che non ha ancora conquistato».
Wimbledon dà gloria imperitura.
«Sull’erba ha dimostrato di essere competitivo, ha vinto Halle, due anni fa ha fatto la semifinale proprio a Wimbledon. Sulla terra invece fa più fatica, può vincere a Parigi, ma non sarà facile. Su quel terreno Alcaraz ha qualcosa in più».
La sentenza del Tas sul caso Clostebol, attesa per febbraio, oggi è l’unica vera spada di Damocle sulla testa di Sinner, non crede?
«Lui sa di non aver fatto niente di male, ma questa storia gli pesa. Ha vinto lo stesso, ma per un certo periodo aveva perso il sorriso. Da fuori può sembrare tutto facile, che uno schiacci un tasto, dimentichi, vada in campo, giochi e vinca. Non è così. Altri giocatori, in questa situazione, nemmeno avrebbero avuto la forza di scendere in campo, ma Sinner è forte, il più forte di testa».