L'intervista

mercoledì 23 Novembre, 2022

Frontiera quantum computing, il futuro dei computer passa dal Trentino

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Federico Mattei (Ibm) spiega la rivoluzione dell’analisi dei dati: «A Trento centro d’eccellenza. Serve sinergia fra ricerca e imprese, anche di diversi settori»

Nel mondo informatico si sta realizzando una grande rivoluzione, che porta il nome di quantum computing. Una tecnologia dalle enormi potenzialità, che può essere applicata in un vasto numero di settori, da quello finanziario a quello farmaceutico, dalla chimica alla sicurezza informatica. Ma per il suo sviluppo servono finanziamenti alla ricerca e formazione. Una sfida in cui anche l’Italia — insieme ai suoi centri di ricerca locali — può giocare un ruolo importante. Queste le considerazioni di Federico Mattei, Ibm Quantum Ambassador che è stato relatore al seminario sui temi della tecnologia quantistica organizzato dal gruppo di ricerca ELEDIA@UniTN del DICAM – Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento, in corso da lunedì a Madonna di Campiglio e coordinato da Paolo Rocca.

Mattei, innanzitutto come spiegherebbe il computer quantistico a qualcuno che non conosce l’argomento?
«Il computer quantistico è uno strumento di elaborazione di dati che, sfruttando due proprietà della meccanica quantistica, permette di ampliare il numero di tipologie di problemi che si possono risolvere con i computer tradizionali. Questi ultimi, infatti, pur eseguendo bene attività come la navigazione in internet o la posta elettronica, non ci permettono di calcolare in modo completo tutta una serie di altri problemi. Il computer quantistico sarà, quindi, complementare rispetto al computer tradizionale, soltanto uno strumento in più che potremo usare a seconda del problema da affrontare: è come dire che a tavola, oltre alla forchetta, c’è anche il cucchiaio, e usiamo l’una o l’altro in base al piatto che abbiamo davanti».

Quali implicazione può avere nella vita di tutti i giorni questa nuova tecnologia?
«L’impatto del quantum computing sulla vita quotidiana sarà soprattutto indiretto, perché è molto poco probabile che la persona comune, nei prossimi anni, abbia direttamente a che fare con un computer quantistico; si tratterebbe più che altro di strumenti che, all’interno di aziende di diversi tipi, ottimizzeranno certi servizi e prodotti forniti ai consumatori. Comunque, la tecnologia quantistica potrebbe migliorare la qualità della vita trovando soluzioni a problemi che ancora non riusciamo a risolvere. Ad esempio, il computer quantistico può aiutare nella ricerca in ambito medico e farmacologico, e migliorare i calcoli in ambito finanziario: questi sono soltanto due dei numerosi esempi di settori che questa tecnologia può contribuire a sviluppare».

Invece cosa ci può dire rispetto agli effetti nell’ambito della sicurezza informatica?
«Il computer quantistico non velocizza soltanto i calcoli che facciamo per migliorare il benessere delle persone e della società, ma velocizza anche — purtroppo — i sistemi di decriptaggio degli algoritmi di crittografia. La buona notizia è che noi conosciamo già gli algoritmi che potrebbero rompere molti dei sistemi crittografici, e sappiamo che questi richiedono computer quantistici molto potenti, per giungere ai quali serviranno ancora anni. Inoltre, quest’estate il National Institute of Standards and Technology ha certificato i primi quattro algoritmi quantum-safe, che riescono quindi a proteggere da attacchi quantistici. È molto importante iniziare subito ad imparare a proteggerci».

In che modo?
«Si sta iniziando a parlare di attacchi ai dati criptati, raccolti, conservati e poi decriptati non appena ci sarà la tecnologia necessaria. Quindi è necessario iniziare ora a rivedere i sistemi di criptaggio dei dati, soprattutto se si tratta di informazioni che devono restare private anche nel lungo termine, ad esempio i dati dei servizi segreti: lo stesso Biden, a maggio, ha mandato un memorandum alle agenzie governative chiedendo un inventario l’identificazione di tutti i dati che devono essere criptati il prima possibile in maniera quantum-safe».

Questa settimana parlerà al corso organizzato dall’Università di Trento sul tema della tecnologia quantistica. A Trento in quest’ambito è anche attivo il laboratorio «Q@tn», che tra l’altro ha messo a punto un brevetto selezionato per l’Expo 2022. Che partita possono giocare l’Italia e il Trentino in questa sfida?
«A mio parere, l’Italia ha una grande opportunità di leadership digitale nell’ambito di questa tecnologia nascente, e se avremo attenzione e lungimiranza, potremo giocare un ruolo di valore in Europa. Ad esempio, tra i fondi per il Pnrr è stato identificato il Centro nazionale per l’High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing, per il quale sono stati stanziati circa 320 milioni di euro. Riguardo alle eccellenze locali italiane, di cui Trento fa parte, noi abbiamo dei gruppi di ricerca molto all’avanguardia nello studio delle tecnologie quantistiche: sarebbe un’ottima opportunità se riuscissimo a metterli in contatto con l’industria, creando una collaborazione tra le competenze delle università e le richieste delle imprese italiane».

Quali sono i passi importanti da muovere nel settore in questa fase?
«Io vedo quattro pilastri principali per lo sviluppo dell’industria quantistica nel Paese. Innanzitutto, è necessario continuare a finanziare le università e i centri di ricerca; inoltre, servono investimenti nelle infrastrutture, per dare ai ricercatori la possibilità di utilizzare gli strumenti quantistici migliori possibili; importante anche la collaborazione tra pubblico e privato, ovvero tra università e aziende, in modo da applicare questa ricerca. Infine, ed è forse il passo più importante, ci vuole lo sviluppo delle competenze e della forza lavoro. Il computer quantistico richiede competenze – come la meccanica quantistica e la programmazione – che oggi non si trovano in un singolo corso di laurea. Ci sarà quindi sempre più bisogno di percorsi formativi che mettano insieme queste competenze e aiutino a formare classi di sviluppatori e ingegneri in grado di gestire questi computer e scrivere algoritmi completamente diversi da quelli dei computer tradizionali».

Come ha iniziato ad occuparsi di quantum computing?
«Per i primi dieci anni ho lavorato per Ibm a progetti innovativi ma tradizionali. Poi, nel 2016, Ibm ha deciso di mettere a disposizione i primi computer quantistici tramite la rete, e mi è stato chiesto di iniziare a lavorare in questo settore in ragione del mio dottorato in fisica. Oggi mi occupo di divulgazione, facendo seminari e presentando alle aziende le potenzialità di questa tecnologia»