Il personaggio

giovedì 29 Dicembre, 2022

Franco Chemolli: «La mia Spiaggia oggi rovinata»

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Re dell’intrattenimento dal 1953 fino al 2003, il patron del Tiffany ricorda gli anni d’oro e dice: «Ristrutturare ha fatto solo danni»

L’ultimo dei gentiluomini della movida. Franco Chemolli oggi ha 82 anni ma non perde le vecchie abitudini: a letto mai prima delle tre di notte, sveglia dopo mezzogiorno. Ha cresciuto decine di generazioni di rivani e non, dal 1953 al 2003, come barista e gestore poi della Spiaggia degli Olivi, poi diventata discoteca Tiffany «ma ero bambino anche io all’inizio». Ha iniziato a lavorare a 13 anni, serviva whiskey e finiva alle 2 di notte: «Ero fuorilegge ma va bene…mi interessava solo lavorare». Il mondo del divertimento di oggi gli piace poco ma gestirebbe ancora un locale, magari il suo Tiffany che, ricorda con nostalgia, «era bellissimo». Ma oggi alla Spiaggia vedrebbe solo «due milioni di euro per sistemare i danni che hanno fatto con i lavori, perché oggi in quel posto si può fare solo un museo della vela, oppure un negozio di frutta e verdura. O al limite una segheria».

Torniamo ai suoi tredici anni. Assaggiava già i drink?
«Solo per sapere cosa stavo servendo. Whiskey, birra, bottiglie di vino santo che i tedeschi bevevano come l’acqua, si consumavano diecimila bottiglie all’anno. Dovevo essere sveglio e sempre cordiale, buonasera, come sta, fare due chiacchiere. Era nel mio essere fare così. Poi dopo la prima stagione, quando lavoravo e andavo a scuola, mi hanno richiamato».

E con la scuola, come faceva?
«Studiavo nei momenti liberi. A scuola hanno avuto un gran rispetto di quel ragazzino che lavorava la notte. Non mi hanno promosso perché lavoravo, probabilmente avevo anche il titolo, ma insomma, resta il dubbio (ride). I lavoro per me era vita, e per questo facevo anche di più del necessario».

E poi?
«A diciotto anni mi fecero capo del personale, a 20 anni direttore del locale. Spiaggia degli Olivi, circolo forestieri. Negli anni 50 alla spiaggia potevano entrare solo i “vip”, l’avvocato, il dottore, l’albergatore…tutti in giacca e cravatta, facevano soggezione. Il rivano normale non poteva entrare. Potevano entrare però i turisti».

Un aneddoto?
«Avevo 14 anni. Il dottor Pastorelli era al bar con gli amici. Io avevo un gran mal di denti e lui mi chiese cosa avessi, non mi vedeva bene. Gli dissi del mal di denti. Allora lui andò dal mio capo, “Posso prendere il ragazzo un attimo?” Mi portò nel suo studio per togliermi il dente. Poi mi riportò al bar. Non dimenticherò mai tale gentilezza».

E negli anni successivi si aprì ai rivani.
«Sì, purché con i vestiti in ordine. Toccava a me dire “mettiti una camicia più pulita”, ma sempre con garbo».

Una specie di selezione all’ingresso.
«Sì, e security. Nei primi anni del Tiffany, ero io che facevo anche la security. Quando c’erano dei litigi io andavo a chiedere che succedeva, e col sorriso sdrammatizzavo, dicevo “dai, beviamo qualcosa insieme, stringetevi la mano e che non succeda più”. E spesso quelli diventavano amici per tutta la vita».

E com’erano gli anni del Tiffany discoteca?
«Nel 1975 nacque il Tiffany, era bellissimo. Lo disegnai io stesso. Diventammo discoteca. L’orchestra diventò dj. Le sedie diventarono poltrone. Moquette e il bancone con 21 sedute. Era intimo, sembrava un salotto con 250 posti a sedere, 700 di capienza totale, mille se aprivamo all’esterno. Io ero il titolare ma tagliavo anche l’erba. Avevamo anche 23 dipendenti».
A Riva si celebra ancora il tuffo nel canale della Rocca, in ricordo degli allora ragazzini che volevano entrare senza biglietto, perché non potevano permetterselo.
«Mi fa molto piacere. Mi avvisavano “Arrivano i ragazzini dal lago” e io dicevo di ignorare. Non facevano danno, anzi. Soprattutto quando c’erano le tedeschine, facevano due chiacchiere».

Com’è oggi la Spiaggia, vista coi suoi occhi?
Hanno rovinato il locale.

Gestirebbe un locale oggi?
«Certo! Non come lo gestivo una volta, quando facevo anche il cantiniere, il giardiniere, la security eccetera. Mi alzavo alle 12, mangiavo un paninetto con una fetta di qualcosa, alle due di pomeriggio ero già con i miei dipendenti».

Che tipo di pubblico vorrebbe?
«I giovanissimi esagerano troppo. Per loro farei pochissimo e senza musiche che promuovono droghe. Quattro guardie security. E poi una serata di liscio moderno, una Anni 60, poi anche un dj generalista, che piace sempre».

Quattro persone per la sicurezza oggi, lei era da solo quarant’anni fa.
«Ma i carabinieri entravano nel locale e li portavo al bancone a chiacchierare. Mostrare la presenza delle forze dell’ordine come deterrente. Negli anni poi ho dovuto introdurre i buttafuori. Un paio di volte io ho schiaffeggiato dei clienti molesti. Noi che siamo timidi, quando ci arrabbiamo lo facciamo sul serio. Poi però incontrando queste persone ci stringevamo la mano».

Aneddoti magnifici.
«Tutto il mio lavoro è stata una magnifica avventura».