Il caso

venerdì 1 Settembre, 2023

Frana sul Sassolungo, il gestore del rifugio Demetz: «Si è rischiato un disastro»

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Ancora scosso il rifugista Enrico Demetz: «Se succedeva di mattina sarebbe stato un macello»

«Se succedeva di mattina sarebbe stato un macello». È un rifugista di lunga esperienza Enrico Demetz: da decenni presente nella baita che porta il suo stesso cognome e il nome di Toni, la guida alpina morta nel 1952, solo a vent’anni colpita da un fulmine, mentre stava accompagnando degli escursionisti. Da lì ha visto cadere decine di metri cubi di roccia sul Sassolungo, lungo il pendio che dà sull’Alpe di Siusi. Momenti di paura che sono stati documentati anche in un video, ripreso da alcune persone lungo il sentiero. Si sentono distintamente le urla, la preoccupazione che, quella frana, stia per dirigersi inesorabilmente anche verso di loro. Fortunatamente non è stato così. Il tutto, come sottolinea Demetz per una semplice questione di orari: i sassi si sono staccati nel primo pomeriggio. «In quel momento — prosegue il rifugista — c’erano poche persone lungo un sentiero e un arrampicatore in parete. Si sono visti passare i massi vicino. Solo poche ore prima ce n’erano molte di più». La situazione ha allarmato la macchina dei soccorsi. Siamo sul confine tra la val di Fassa e la val Gardena, ma quel punto è in provincia di Bolzano. Sul posto è stato inviato un elicottero dell’Aiut Alpin Dolomites che ha sorvolato l’area identificando il punto del crollo. Si tratta della parete del Pollice delle Cinque Dita. Lo scopo del sorvolo era anche quello di escludere feriti e di valutare la situazione. Tra le opzioni, una chiusura parziale dei sentieri circostanti. A ieri sera, però, nessuna decisione in tal senso era stata presa. Ha continuato regolarmente la sua corsa la cabinovia del Sassolungo, posizionata sull’altro versante e non toccata nemmeno marginalmente dalla frana.
Si tratta solo dell’ultimo episodio di frane sulle Dolomiti. Una roccia da sempre soggetta a questi fenomeni, ma che hanno visto un’accelerazione negli ultimi anni. Si sospetta — ma il tema è dibattuto — possa c’entrare anche le alte temperature registrate nell’arco alpino. Non era certamente il caso di ieri, ma solo la settimana scorsa sono stati raggiunti valori record in quota. E proprio il caldo, soprattutto a certe quote (nel caso di ieri si sfiorano i tremila metri) può portare allo scioglimento del permafrost, il terreno che — normalmente — rimarrebbe gelato durante tutto l’anno. L’estate, del resto si era aperta con un crollo imponente sempre ai confini con il Trentino, sempre in montagne di tipo dolomitico, ma dal lato opposto della provincia: a crollare «l’Omo» del monte Plische che con la sua «Dona» formava la coppia di guglie più fotografata della zona, sul crinale tra Ala e Recoaro Terme. Anche in quel caso, era stata formulata l’ipotesi dello «stress climatico», con il ritorno delle piogge abbondanti dopo tanta siccità.