Il reportage
domenica 18 Dicembre, 2022
di Simone Casciano
Incontriamo Alex alle 20:15 alla stazione dei treni di Trento e il termometro segna già gli 0 gradi. Sarà una notte fredda e questo è un problema per le persone che dormono per le strade del capoluogo. Nonostante lo sforzo messo in campo dal Comune e dalla Provincia, non tutti i senza fissa dimora hanno trovato un alloggio. Alex è l’anima, assieme a Maria Rosa Mura, del progetto Tabita. Una delle associazioni di Trento che si occupa di chi ha bisogno. Assieme ai volontari di strada, alla comunità di Sant’Egidio e al Centro Astalli si dividono le notti girando per Trento alla ricerca di chi è in difficoltà. Portano coperte, vestiti, un the caldo e del cibo. Alex è la nostra guida in questa notte per capire quante persone ancora vivono per strada. Saliamo in macchina e non ci mettiamo molto a incontrare i primi due senzatetto. Si sono sistemati sotto i portici di via Prepositura. Dormono già, non li disturbiamo. Alex li conosce e ci spiega che loro non vogliono entrare nelle strutture: «Sono sulla strada da anni e loro preferiscono così, ma sono pochi quelli che non vogliono un tetto. La maggior parte vorrebbe avere un letto in cui dormire».
Ci spostiamo in via Torre Verde, sul retro del Consorzio delle autonomie locali, un uomo cerca di dormire avvolto nelle coperte. «Fino a una settimana fa qui erano anche in 10 – ci dice Alex – adesso la situazione è migliore». Ci avviciniamo e, quasi in contemporanea, arrivano anche i volontari della comunità di Sant’Egidio. Sono venuti a vedere come sta l’uomo e a invitarlo alla cena di Natale organizzata per il 24. Lui ringrazia, ci spiega che viene da San Candido. Era lì all’interno di un percorso di accoglienza ma, quando è finito, si è trovato senza un posto dove stare e allora si è spostato verso Trento. Si augura presto di poter trovare un luogo dove dormire. Più tardi sotto al Cal arriveranno altri 2 senzatetto, passando li vediamo stretti sotto le coperte per cercare di farsi caldo.
Sono le 21, Alex ci porta in via Vannetti, sul retro di Palazzo Europa, è un altro dei posti dove i senzatetto vanno a cercare riparo. Quando arriviamo non c’è nessuno, ma dei cartoni e delle coperte riparate in un angolo ci confermano che questo è il rifugio di qualcuno. «Fa troppo freddo – ci spiega Alex – non riescono a dormire. Quando è così passano il tempo camminando per tutta la notte. Per questo abbiamo bisogno di scarpe e giacche».
Tabita ha un deposito in corso 3 Novembre al civico 120, è aperto il martedì e il giovedì dalle 9.00 alle 17.30, ma in questo periodo fa anche delle aperture straordinarie. I volontari sono sempre alla ricerca di vestiario, scarpe e coperte.
Ci spostiamo verso Piedicastello, nel momento più critico, quando i senza fissa dimora nel capoluogo superavano i 300, molti avevano trovato riparo qui. Alcuni sotto i portici della farmacia, altri vicino alla chiesa di Sant’Apollinare o alle gallerie. Adesso questi luoghi sono vuoti. 3 persone però dormono ancora nella zona, ma in un luogo più appartato. Una minuscola casetta di lamiere nel parcheggio dell’ex Italcementi. Difficile capire le loro condizioni, almeno hanno le coperte.
Sono le 22, ci spostiamo verso il ponte sull’Adige all’altezza del quartiere le Albere. Parlare di «sotto il ponte» è riduttivo rispetto alla situazione. Gli anfratti nella zona sono molti e hanno dato vita a diversi insediamenti di fortuna. Sul lato del ponte che dà sull’Adige, sulla sponda cittadina, dormono ancora tre africani. Li vediamo avvolti nelle coperte. Non vogliono essere disturbati. «Li conosco, sono tutti e tre lavoratori. – racconta Alex – ragazzi in gamba». Sulla stessa sponda ci spostiamo sul lato verso l’Adigetto. Qui si apre un mondo sotterraneo. Ci troviamo davanti a un buco, una caverna di cemento costruita sopra al letto del torrente. Al di sopra ci sono il parco delle Albere e, più distanti, le facciate di legno e vetro immacolato disegnate dall’archistar Renzo Piano. Al di sotto, la sponda del fiume coperta dalla lastra di cemento è il rifugio di chi non ha un altro tetto sopra la testa.
Camminiamo curvi, lo spazio è angusto e si sviluppa in lunghezza. Il buio fitto è rischiarato dalla torcia di Alex. In un punto bombolette di gas da campeggio accatastate raccontano i numerosi pasti consumati qui. Una fiamma può essere una fonte di calore e conforto in questa situazione ma anche un fattore di rischio: «Prima qui erano in molti – ci dice Alex – e mi preoccupavo spesso che potesse succedere qualcosa con questi fuochi». Procediamo nel buio fino a quando troviamo una tenda di fortuna, costruita appendendo dei lenzuoli su quattro lati. Alex si annuncia: «C’è qualcuno qui?». Repentina la risposta: «Sei tu Alex?». Scostiamo i lembi dei lenzuoli. All’interno del riparo di fortuna ci sono Saiid e Issa, due ragazzi marocchini. Sono sdraiati l’uno accanto all’altro stretti nelle coperte, ai lati le scarpe dei ragazzi sono appoggiate su una specie di ripiano per cercare di asciugarle, due candele donano un po’ di luce e di calore, «attenti con quelle eh!» si raccomanda subito Alex. Issa ci racconta che sono arrivati in Italia 10 mesi fa e si trovano a Trento da 3. «Io sono un muratore, sono molto bravo, molto forte». Per confermarci la sua maestria ci va vedere un video sul cellulare in cui velocemente, grazie alle sapienti mani di Issa, una strada di polvere e fango si trasforma in una lastricata di mattoni. «Voglio lavorare, sono molto bravo – spiega Issa – però non ho i documenti e non so come fare. Sono venuto in Italia per questo! In Marocco e in Tunisia non c’era lavoro. Ma se non mi fanno lavorare cosa sono venuto a fare?». Saiid invece i documenti li ha, quello che gli manca è un cellulare: «Senza è impossibile rimanere in contatto con i servizi – dice –. Come faccio a sapere se mi hanno trovato un posto in un dormitorio?».
Proseguiamo e poco più avanti troviamo Ismael. È africano e vive sotto al ponte da più di 3 anni, è lui che si occupa di tenere la situazione il più pulita possibile. Più avanti troviamo un’altra tenda improvvisata, dentro 2 giovani marocchini cercano di dormire, nonostante le temperature e l’umidità. Ci confermano di stare bene e ci chiedono acqua. È una delle richieste più comuni in questo periodo. «Con le fontane chiuse non sanno come fare – ci spiega Alex –».
Ci spostiamo sull’altra sponda del fiume, quella che dà verso l’A22. Sono le impronte nella neve a confermarci che qualcuno ancora vive nella parte più riparata, un interstizio sotto il tracciato della tangenziale e in cui scorre un torrente. La tendopoli è ancora in piedi. Sopra di noi il chiasso incessante delle macchine si mischia al rumore dell’acqua che passa vicino alle tende. Lanciamo un richiamo per capire se c’è qualcuno. Ci rispondono da una tenda: «Sono qui!». Ci avviciniamo, scostiamo i tappeti appesi al tetto nero pece e salutiamo. Dentro c’è un ragazzo pakistano steso su un letto di fortuna, vicino a lui una pentola piena di braci. Sta cercando di dormire: «Fa troppo freddo – ci dice – non riesco a prendere sonno. Sono rimasto solo qui, i miei amici sono entrati nelle strutture, spero che presto prendano anche me. Per favore lasciatemi una coperta e dell’acqua».
Torniamo alla macchina, recuperiamo coperte, acqua e una giacca per Saiid. Prima di andare via Alex fa una telefonata a Adeel, un ragazzo che stava sotto il ponte, non lo ha visto ed è preoccupato. Adeel risponde, dice che ha trovato posto a Casa San Giovanni. Ha la voce calma e sollevata di chi è scappato da un incubo.
Continuiamo il nostro giro. Passiamo per la Bolghera. Isham lo troviamo sul retro di un supermercato della zona. L’aria calda che sale dalle grate sopra le quali ha steso cartone e coperta rendono la notte un po’ più semplice da passare. Uno sconosciuto gentile gli ha lasciato qualcosa da bere e da mangiare. Ci dice che non ha bisogno di nulla. Isham è a Trento da più di dieci anni e ormai conosce i luoghi migliori in cui rifugiarsi, sperando sempre di poter trovare un posto stabile però: «Se mi chiamano io vado eh».
È quasi mezzanotte, torniamo verso la stazione. «L’ultimo treno arriva alle 00.09 da Innsbruck – ci spiega Alex – e a bordo c’è sempre qualcuno che non sa dove passerà la notte». Le sue parole sono vere, dall’ÖBB scendono qualche decina di persone. C’è chi chiama un taxi, chi abbraccia un familiare o un conoscente venuto a prenderlo e chi si incammina per la città. Dopo pochi minuti, chi rimane è chiaro che non ha un posto dove andare né qualcuno che lo aspetti. Sono 6 persone. Quattro sono ragazzi pakistani: Muhammad, Abdul, Ali e Gul. Arrivano dalla rotta balcanica. Sono passati dall’Austria e cercano di arrivare a Bologna. Molti migranti, se non riescono a ricevere accoglienza, nei mesi più freddi si spostano verso il sud dell’Europa in cerca di temperature più miti. «Per questo servirebbe tenere aperta la stazione – dice Alex mentre dà ai ragazzi coperte e cartoni per passare la notte – almeno una sala d’aspetto dove queste persone possano passare le ore della notte, prima di ripartire».
Sempre in stazione incontriamo Annachiara, è in compagnia del suo ragazzo e di due cani. Dopo 15 anni, sono andati via da Berlino. Sono diretti a Feltre, ma anche per loro il viaggio, per questa notte, si conclude a Trento. Non possono permettersi una stanza e quindi passeranno la notte vicino alla stazione.
Il nostro viaggio termina sotto i portici del teatro Santa Chiara. Qui fino a qualche settimana fa avevano trovato rifugio molte persone. «Ora non dovrebbe esserci nessuno» dice Alex. Per una volta la nostra guida si sbaglia. Sotto i portici troviamo Hamid e Bashir. Sono due ragazzi tunisini. Fino a questa notte stavano in una casa abbandonata a Ravina. Secondo Alex sono circa 15-20 le persone che hanno trovato riparo così. Sono situazioni precarie però, e quello che è successo ai ragazzi tunisini lo conferma. Il proprietario dell’immobile vuoto si è accorto della loro presenza e li ha mandati via. Nel cuore della notte, con la temperatura ormai sottozero, sono tornati a piedi verso il centro della città. Sono dovuti andare via in fretta, lasciandosi quel poco che avevano alle spalle. Li aiutiamo a costruire un giaciglio con cartoni e coperte. Si sistemano per la notte e ci ringraziano: «Vorrei trovare una casa, forse potrei andare alla Fersina – dice Hamid –, ma lì adesso stanno facendo entrare troppe persone in una volta. Ho paura che ci siano problemi». Hamid si porta la mano al cuore 2 volte e poi alla fronte salutandoci. Sono le 2 di notte.
Il nostro giro ormai è finito. Ringraziamo Alex per averci guidato nei luoghi nascosti dell’emergenza freddo, ma questa parola non gli piace. «Non è un’emergenza – ci spiega –. Queste sono cose che si sanno da tempo. Io sono grato al comune, alla provincia e alla chiesa per quello che fanno, ma perché ogni volta si aspetta così tanto? Dobbiamo dare una casa a queste persone. Molti di loro lavorano, hanno bisogno di stabilità. Quando c’è, la casa, risolve molti problemi, quando manca, lentamente crolla tutto il mondo di queste persone».