Il personaggio

martedì 20 Febbraio, 2024

È morto a 78 anni Giuseppe Raspadori, psicoterapeuta, editorialista e protagonista dei movimenti di contestazione

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Il ricordo della consigliera provinciale Lucia Coppola: «Amico tenero e amatissimo. Energia allo stato puro»

È morto nella notte, all’età di 78 anni, Giuseppe Raspadori, noto psicoterapeuta trentino e per molti anni attivista e protagonista dei movimenti di contestazione legati alla nascita a Trento della facoltà di Sociologia. Era infatti arrivato a Trento da Imola, per trasferirsi definitivamente dopo la laurea. Qui ha svolto tutta la sua vita professionale, anche come giornalista pubblicando settimanalmente i suoi articoli di fondo sulla stampa locale.
La notizia della morte di Giuseppe Raspadori si è diffusa anche sui social, dove la consigliera provinciale di Verdi-Sinistra Lucia Coppola, che ha condiviso con lui gli anni di Lotta Continua, ha scritto questo post: «Amico tenero e amatissimo. Energia allo stato puro. Generoso di slanci e capace di prendersi cura di tutti. Abbiamo condiviso la bella giovinezza, lotte, manifestazioni, ideali. Ci siamo voluti bene per tutta la vita. Beppe mancherà molto non solo ai suoi cari ma a tutti noi che abbiamo condiviso esperienze uniche. Noi che siamo state e stati “la bella gioventù”. Beppe guascone, gioviale, amichevole sempre. Intemperante e contro corrente a volte. Ma sempre col sorriso e l’abbraccio. Col cuore aperto e la gentilezza. Con intelligenza e cultura. Oggi è davvero un giorno triste».
L’impegno e la passione di Raspadori non sono mai venuti meno, nemmeno negli ultimi tempi segnati dalla malattia che, aggravandosi repentinamente, lo ha portato alla morte. Il suo ultimo messaggio sui social di poche settimane fa, su un fatto di cronaca che lo aveva colpito, quello della Ilaria Salis, l’attivista antifascista arrestata in Ungheria: «In tribunale con le catene alle mani e ai piedi: una gran violenza, ma non medioevale. Ricordo e rivivo: circa quaranta anni fa andai in tribunale per salutare un vecchio amico, Paolo Tenuta, molto attivo su quella linea di confine di delinquenza politica e comune. Quando lo vidi entrare con le manette ed ancor più con le catene ai piedi la rabbia e lo sdegno mi salì alla testa, feci appena in tempo a scambiare con lui uno sguardo ed un saluto poi scoppiai a piangere. Io che pur ero forte e giovane, che conoscevo i tribunali fui travolto da rabbia e sdegno appunto, una rabbia e uno sdegno profondo, profondissimo come non provavo dai tempi di Lotta Continua e dello scontro che consideravamo rivoluzionario».