La storia

sabato 23 Marzo, 2024

Dawda Ceesay, dal Gambia fino a Trento: «Qui da 7 anni, ho costruito la mia vita. I corsi per l’integrazione sono importanti»

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Capitano della squadra di calcio Intrecciante e metalmeccanico a Spini di Gardolo. «Ho una bambina di 5 mesi sogno di portare qui anche la mia famiglia»

Dawda Ceesay, 25 anni del Gambia, è tante cose. E’ il difensore centrale e capitano di Intrecciante, la squadra di calcio multietnica di Trento, il cui progetto di volontariato è salito sul palco in occasione della visita a Trento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dawda Ceesay è ache una storia di immigrazione e integrazione, di come un sistema di accoglienza funzionale possa essere una vittoria per chi arriva e per il territorio. Ma Dawda Ceesay è soprattutto un giovane papà, di una bimba di appena 5 mesi, che a 18 anni si è lasciato alle spalle il suo paese e con coraggio è stato capace di arrivare in Italia e costruirsi una vita qui.
Ceesay ci racconta il suo viaggio dal Gambia all’Italia?
«Sono partito che avevo 18 anni, per motivi delicati. Sono passato dal Senegal, Mali, Burkina Faso e Nigeria. A questo punto c’è stato il primo grande ostacolo: attraversare il deserto del Sahara. E’ stato difficile, poi siamo arrivati in Algeria, e quindi in Libia da dove sono partito per l’Italia».
Quindi ha viaggiato in barcone?
«Sì, è stato molto difficile. Ricordo che siamo partiti e dopo pochi minuti già imbarcavamo acqua. Ho avuto davvero paura di non farcela. Per fortuna però siamo riusciti ad arrivare sulle coste italiane e poi mi hanno portato a Palermo».
E lì cos’è successo?
«Credo di essere stato fortunato, perché mi hanno trasferito qua in Trentino quasi subito. La prima accoglienza l’ho fatta al campo della Protezione civile a Marco di Rovereto, poi mi hanno spostato alla Quercia sempre a Rovereto. Dopo sono stato inserito in un altro progetto del Centro Astalli a Spini di Gardolo. Era una casa in cui vivevano studenti stranieri e richiedenti asilo, quelli che avevano progetto particolari di studio o corsi. Eravamo in sei, due di noi sono riusciti anche ad andare in università e laurearsi! Io ho studiato l’Enaip per fare l’elettricista. È stato proprio un bel progetto».
Poi?
«Poi ho trovato lavoro e quello significava che dovevo uscire dal progetto. Faccio il metalmeccanico in una fabbrica a Spini di Gardolo. Il lavoro mi piace tanto, sono quattro anni che lavoro lì e mi ci trovo davvero bene».
E ha preso una casa?
«Si certo, abito a Trento Sud, in zona San Bartolomeo insieme ad un amico. Mi piace perché è una zona tranquilla, anche se è un po’ lontana da lavoro, ma ci vado in macchina».
Oltre al lavoro cosa c’è di importante nella sua vita di tutti i giorni, Intrecciante?
«Si certo, sia perché siamo una comunità, sia perché mi piace tanto giocare a calcio e stare con gli amici. Quindi quando ho un po’ di tempo libero lo passo sempre così».
E’ felice della vita che ha costruito qui?
«Si sono molto felice, ho dovuto imparare tante cose. Ho iniziato a lavorare, sono arrivato che non sapevo niente. Poi ho conosciuto la lingua, ho imparato il mestiere, il territorio, ora so muovermi in Trentino».
«Il Trentino è diventato un po’ la sua seconda casa?
«Certo! Ormai ho iniziato a parlare anche dialetto, perché al lavoro i colleghi lo usano tanto, quindi poco a poco lo sto imparando».
Che sogni ha?
«Il mio primo sogno sarebbe quello di portare qui la mia famiglia, ho una bambina piccola di 5 mesi in Gambia, voglio che cresca in Italia. Poi a me piace sempre imparare cose nuove. Mi piacerebbe poter tornare a studiare, ma in questo momento è difficile perché devo lavorare, mantenere me e anche aiutare la mia famiglia in Gambia. Però mi piacerebbe tornare a studiare».
Sull’accoglienza Governo e Provincia hanno tagliato fondi e servizi, lei che l’ha vissuta quando c’erano possibilità che ne pensa?
«Io dico che i progetti che si fanno per aiutare i ragazzi che arrivano a inserirsi nel paese sono molto importanti. Quando sono arrivato, c’erano tanti progetti che ci hanno aiutato a muoverci, a imparare la lingua e un lavoro. Sono fondamentali. Se si potesse sarebbe bello continuare così».
Sono 7 anni che è in Italia, da quattro lavora continuativamente; ci pensa mai alla cittadinanza?
«Eh, manca ancora un bel po’, il sogno è quello di ottenerla, ma la strada è ancora lunga».