la storia

sabato 9 Agosto, 2025

Da perito chimico a dermatologo e poi primario, il dottor Zumiani: «Mio padre mi iscrisse alla scuola professionale per metalmeccanici. Ma il tornitore non era il lavoro della mia vita»

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L'ex presidente dell'Ordine dei medici, due lauree e 42 ascese in bici allo Stelvio si racconta: «Mi sono diplomato perito chimico. All'epoca a noi degli istituti erano vietate alcune facoltà: in Brasile ho studiato chirurgia plastica»

Due lauree (la prima in biologia, la seconda in medicina e chirurgia), due specialità (oncologia medica e dermatologia), primario ospedaliero, presidente del primo Consiglio di Sanità, per tre mandati (9 anni) presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Trento, presidente della Società italiana di dermo-chirurgia. Ma arrivare al traguardo, per il dottor Giuseppe Zumiani non è stato facile. Nella prima parte, almeno. Più difficile che arrivare, con la bicicletta muscolare al traguardo del Mont Ventoux, il «gigante della Provenza» dove, di solito, si decide il vincitore del Tour de France.

Una passione per lo sport, in particolare per la bicicletta, coltivata obtorto collo, fin dalle «stagioni» durante le vacanze trascorse a lavorare tra alberghi e ristoranti in quel di Riva. «Tutti noi, dei paesi, eravamo costretti ad andare in bicicletta. Avevo una bicicletta da donna, la strada era bianca, insomma spesso, al ritorno, ero costretto a farmela a piedi».
E per restare in ambito sportivo: centinaia di salite in bicicletta in Italia e Europa («per ora» 42 Stelvio, 5 Mont Ventoux, le mitiche Granfondo e gli indimenticabili Raid con gli amici del Club Ciclistico Gardolo), poi sci da fondo (una ventina di partecipazioni alla Marcialonga, tre alla Vasaloppet, in Svezia) e 50 maratone (tre le presenze a quella di New York).
Il legame con la terra, la passione per la campagna lo ha portato ad inseguire un sogno: fare il contadino. Che a dire il vero sarebbe stato il suo destino di figlio del popolo, di «enfant de pays», se, invece della cura delle piante, varie circostanze non lo avessero portato alla cura degli umani. Molti dei quali, se non amici per la pelle, divenuti estimatori.
La casa di famiglia, a Pranzo di Tenno, ristrutturata mantenendo le tracce di vari secoli di storia e la campagna, una splendida balconata di uliveti sulla costiera del Garda, lungo la strada che da Riva risale verso Pranzo, a cui dedica tanto lavoro («Ho anche sostenuto l’esame in Provincia e ora sono provvisto del necessario patentino per l’olivo-coltura»), sono il suo buen retiro e la sua passione.

 

Alla vigilia dei 79 anni, ben portati, che compirà il 25 agosto, il già primario di dermatologia Giuseppe Zumiani (Beppe, per gli amici) si racconta a «il T Quotidiano», non prima di aver equivocato l’invito: «Ci vediamo a Pranzo per la cena». Preparata dalla moglie, Rosalba Boscato, insegnante di lettere, che gli ha dato due figlie: Laura e Aurora.

 

Cominciamo dal principio.
«Nel 1959 c’era una corriera che partiva da Riva per Pranzo alle 12.10. A scuola le lezioni finivano alle 12.15; così capitava di dover fare oltre sei chilometri a piedi per tornare a casa».

Non proprio la strada dell’orto.
«Appunto. Siccome io ero gracile, sciaguratamente i miei genitori mi misero in collegio ad Arco».

Perché «sciaguratamente»?
«Il periodo peggiore della mia vita; quei tre anni di collegio sono stati una tortura».

La famiglia?
«Il papà, Vittorio, faceva il commerciante di legna. Soprattutto a Verona. Io e mia sorella Mariangela abbiamo tagliato tanta di quella legna da riempire l’intera valle da qui a Tenno. La mamma, Anna, una grande donna, punto di riferimento per la comunità e disponibile per tutti».

Studente-lavoratore.
«Noi abbiamo sempre lavorato, fin da piccoli. D’estate giù a Riva a fare mille mestieri. Da ragazzino distribuivo i depliant della “casa della trota” alla Rocca di Riva».

Poi a confezionare bibite gassate.
«Dal Pesarini. Il vecchio Giobatta mi voleva bene e molto spesso mi portava ad aiutarlo in laboratorio. In quegli anni il papà era stato assunto alla Coppo di Rovereto e mi ha iscritto ai metalmeccanici di Rovereto, scuola professionale. Dopo il secondo anno da tornitore ho capito che non sarebbe stato il lavoro della mia vita. Ho superato l’esame di ammissione all’Iti e ho frequentato il biennio. Giulio Natta aveva vinto (1963) il Nobel per la chimica (col polipropilene isotattico, il moplen) così mi è venuto in mente di proseguire gli studi in quella materia».

Ma a Rovereto quel corso non c’era.
«Infatti andai a Valdagno (Vicenza) dove sono diventato perito chimico».

 

L’università?

«Prima del 1970, a noi diplomati negli Istituti tecnici non erano consentite tutte le facoltà. Soltanto quelle a indirizzo scientifico. Ho frequentato tre mesi a chimica poi quel corso non mi convinceva e sono passato a biologia».

 

Dove si è laureato.
«Nel 1972 a Padova. Ma nel frattempo, a casa, con il supporto di mia mamma e mia sorella Carla, avevo avviato un piccolo locale dove si ballava al suono del juke-box. Per pagarmi gli studi ho passato gli anni dell’università tra la taverna e Padova. Dove ho conosciuto Rosalba, fondamentale nell’incoraggiarmi a fare Medicina e che ho sposato nel 1975».
Con la quale ha festeggiato la laurea andando in Spagna con la «Fiat 500».
«Al ritorno, si trattava di decidere il da farsi. Anche perché c’era in agguato il servizio militare. Mi ha cercato il preside della “Scipio Sighele” di Riva e ho insegnato per due anni e mezzo matematica e scienze alla scuola sperimentale del Varone».

 

Professore, suona bene.
«Intanto mi ero iscritto al terzo anno di medicina. Insegnavo a scuola, studiavo per l’università, non c’erano feste o vacanze. Ho persino superato il corso abilitante per l’insegnamento con il punteggio massimo». (Interviene la moglie: «Io che avevo studiato più di lui avevo preso 4 punti in meno. Una rabbia… ma lui sapeva vendersi bene»)

 

E il servizio militare?
«Dopo la laurea in biologia e due anni di attesa mi hanno chiamato al corso ufficiali e mi hanno mandato a Foligno. Dopo alcuni mesi sono riuscito ad avere un trasferimento a Padova per concludere gli studi di medicina. Rosalba lavorava, mi manteneva e nel 1978 mi sono laureato in medicina, con Laura che aveva un anno, e chiamava papà in fondo all’aula mentre discutevo la tesi».

 

E dermatologia?
«A quel punto, ho conosciuto casualmente Mario Cristofolini che, dandomi del lei, mi disse: “Se ci pensa, potrebbe anche venire da noi…”. Per cominciare, mi ha mandato a Comano, alle Terme. Quando sono arrivato in reparto, a Trento, mi sono occupato di dermo-chirurgia, che non c’era».

 

Dopo le specialità conseguite in dermatologia a Ferrara, in oncologia medica a Pavia, il viaggio-studio in Brasile, a Rio de Janeiro, alla scuola del professor Ivo Pitanguy, uno dei chirurghi plastici più celebri al mondo, scomparso a 93 anni nell’agosto del 2016.
«Per andarci con la famiglia ho venduto il camper. È stata un’esperienza straordinaria. Avevo cullato l’idea di dedicarmi alla chirurgia plastica poi, anche qui il caso o il destino hanno deciso diversamente».

 

In che senso?
«Dal 1977 al 1993 ho lavorato in dermatologia con Mario Cristofolini a Trento. Quell’anno hanno creato un primariato a Rovereto e mi hanno dato l’incarico. Vi sono rimasto fino al 2000 quando Cristofolini è andato in pensione e mi hanno chiamato come primario a Trento con lo scavalco su Rovereto. Fino al 2011».

 

Tornasse indietro rifarebbe tutto ciò che ha fatto?
«Sì, senza alcun dubbio, sono molto soddisfatto del mio percorso professionale, delle relazioni e dei rapporti umani creati negli anni con le persone che ho incontrato, pazienti e colleghi. Ho da sempre messo al centro del mio operato dedizione, passione e professionalità, fondamentali nel mio operato di medico».