crisi climatica
martedì 20 Febbraio, 2024
di Simone Casciano
Siccità, una parola che un anno fa di questi tempi era stata sulla bocca di tutti, tanto che il governo nominò un commissario straordinario per affrontare l’emergenza. Chissà se lo scenario si ripeterà anche quest’anno, a giudicare dai dati il problema rimane tanto grave quanto lo era 12 mesi fa. A certificarlo è il più recente report pubblicato dalla Fondazione Cima (Centro internazionale monitoraggio ambientale). L’ente come parametro di riferimento usa lo «snow water equivalent» (Swe) nei suoi calcoli. «È una stima di quanta acqua recupereremmo dalla neve se essa si sciogliesse tutta», spiega il ricercatore della Fondazione Francesco Avanzi. Questo dato dice che in Italia la neve accumulata fino ad oggi è pari a -64% rispetto alla media calcolata a partire dal 2010. Nello specifico del Trentino-Alto Adige e del suo fiume più importante il dato è pari rispettivamente a -41% per quel che riguarda l’accumulo nivale in regione e a -42% per la previsione di acqua nell’Adige. Un anno fa la situazione era rispettivamente di -49% e -52%.
Si tratta di dati in tutto e per tutto simili a quello di un anno fa, anche se sono differenti le zone in maggiore sofferenza. «Diciamo che la situazione rispetto a 12 mesi fa è per certi versi simile, per altri differente — commenta Avanzi — Simile perché l’accumulo di neve è in generale molto più basso della media come era stato sia nel 2023 che nel 2022. Differente perché ad essere maggiormente colpite sono zone diverse rispetto ad un anno fa».
L’emergenza al Centro-Sud
Scriveva Tolstoj in Anna Karenina che «ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Allo stesso modo ogni siccità che ormai da tre inverni si abbatte sull’Italia ha il suo particolare epicentro di drammaticità. Quest’anno è la volta del Centro-Sud e degli Appennini. Come sono lontane le immagini di un anno fa che mostravano il centro Italia ricoperto da una bianca coltre di neve mentre le Alpi, da est a ovest, rimanevano completamente asciutte. «Quest’anno nel centro sud la stagione nivale non è nemmeno iniziata – spiega Francesco Avanzi – È un esempio di come ogni anno ci sia grande variabilità di precipitazioni, ma la costante rimane la grande diminuzione». L’assenza totale di accumulo nivale accende un campanello di allarme per lo stato di salute di alcuni fiumi la cui acqua è fondamentale. Il Po, innanzitutto, ma ad essere in particolare sofferenza è il Tevere. «Il bacino del Tevere, che corrisponde alle zone dell’Umbria e alla parte montana del Lazio mostra un deficit del 90%», specifica Avanzi.
La situazione in Trentino e Triveneto
Rispetto ad un anno fa la situazione in regione è leggermente migliore, ma c’è poco di cui rallegrarsi. Le precipitazioni sono state maggiori, rispetto ad un anno fa, ma le temperature alte non hanno permesso di costruire accumuli nivali importanti. La neve in montagna infatti funziona un po’ come la banca dell’acqua per il Trentino-Alto Adige e il Nordest in generale. I bacini nivali trattengono l’acqua in quota nei mesi freddi per poi restituirla in primavera ed estate quando ce n’è più bisogno, soprattutto per l’agricoltura. I ghiacciai poi, restando in questa metafora, sono come i bond a lunga scadenza, di grande valore, ma una volta incassati non ci sono più. E con accumuli nivali sempre inferiori anche i ghiacciai si stanno deteriorando. A metà febbraio il deficit per il Trentino-Alto Adige è del 41%. «Il Triveneto è un caso da manuale – commenta Avanzi – Perché in questi mesi comunque la neve, da novembre a gennaio, non è mancata. Ma le alte temperature vanificano le precipitazioni. L’accumulo di neve sta già fondendo. Non fa sufficientemente freddo per mantenere la neve in quota».
Deficit relativo
Se i dati sono già di per sé preoccupanti va aggiunta una tara: il report della Fondazione Cima mette a confronto le precipitazioni dell’anno in corso con la media dal 2010 ad oggi, perché questi sono i dati a disposizione dell’ente. Probabile quindi che, se si estendesse il parametro della ricerca ad un orizzonte temporale più lungo, il deficit sarebbe ancora più importante. Basti pensare alla ricerca effettuata un anno fa da Università di Trento ed Eurac che certificava un calo delle precipitazioni nevose in regione negli ultimi 40 anni che andava dal 15% fino a picchi del 75%. «Uno studio del Cnr ha mostrato che il 2022 e il 2023 sono stati gli anni con meno neve in assoluto da quando si raccolgono i dati ed è probabile che il 2024 si piazzerà lì vicino. Un podio drammatico», dice Avanzi.
Gli scenari
Lo scenario è di una nuova primavera siccitosa per i fiumi. «La situazione è molto simile a quella del 2022, come quantitativo di neve a terra». Le previsioni parlano di possibile neve in arrivo a fine mese, ma con queste temperature difficilmente riuscirà a rimanere in quota. «Il 2023 ci ha insegnato che è complicato fare previsioni troppo in avanti – conclude Avanzi – Un anno fa a compensare l’inverno secco ci fu una primavera estremamente piovosa che risolse, in parte, il problema della siccità». Una primavera di piogge che però, per la loro intensità in un tempo relativamente ristretto, ebbe gravi conseguenze in varie zone d’Italia.