L'allegato

lunedì 4 Dicembre, 2023

Con il T Quotidiano (in omaggio) il calendario 2024 dei Territori: dal 6 dicembre lo trovate in edicola

di

Per accompagnare il nuovo anno gli scatti che raccontano il Trentino, firmati da Federico Nardelli, Luca Chistè e Marco Loss. Disponibile gratuitamente con l'acquisto del quotidiano

Ci sono molti modi per «disegnare» il Trentino. Almeno 33, stando allo scioglilingua («Trentatré Trentini…»). Sarebbero mille le inquadrature e gli scatti utili, peraltro insufficienti, a rendere le sfumature di una terra che Cesare Battisti (1875-1916), nella sua tesi di laurea in geografia (Firenze, 1898) aveva immaginato come le ali di una farfalla. O, se più piace, come una foglia di vite, formata da un solco longitudinale, attraversata dall’Adige, con le ramificazioni delle valli in cui si innervano e dalle quali si diramano altre valli minori.
Dei «33 Trentini» (dell’arte, della storia, del folclore, della flora, della fauna, dell’artigianato, del turismo, dell’agricoltura, dei personaggi, delle donne, degli uomini, illustri o meno, e via declinando) il nostro giornale ha scelto «i territori». Difficile, davvero, in soli dodici scatti dare il senso di una terra ricca di laghi e di vette, di fiumi e di villaggi, di chiese e di castelli, di campi e di boschi, di parchi e di animali, di industrie manifatturiere e di ricerca. Difficile scegliere il biglietto da visita, che tale è un calendario, per accompagnare i giorni a venire.

Ognuno di coloro che sfoglieranno «il calendario dei Territori», disponibile in edicola da mercoledì 6 dicembre gratuitamente con l’acquisto del giornale,  probabilmente avrebbe scelto altre immagini per illustrare questa nostra terra di cerniera fra due mondi (latino e germanico); fra due pianure (la Padana e la Danubiana); al centro della catena delle Alpi. Un territorio popolato da appena 542 mila abitanti (che raddoppiano o triplicano nelle stagioni del turismo) i quali parlano almeno 50 dialetti con sfumature diverse. Almeno tra coloro che lo parlano perché da più di trent’anni è in atto un’omologazione anche nell’uso della lingua.

Tante sono le sfumature, le chiavi di interpretazione del paesaggio, i punti di vista legati alla sensibilità e all’esperienza del fotoreporter. «IlT» della testata sta per Trentino ma anche per «Territori». Ed eccoli, declinati come su un pentagramma, il lago di Garda e le vette dell’Adamello; la piana Rotaliana e i frutteti della val di Non; la cappella medievale di S. Valerio sul dosso di là dal parco della pieve di Cavalese e i prati tra la val di Fassa e l’Alpe di Siusi; il lago di Caldonazzo e il lago di Calaita, nel Vanoi, dirimpetto alle Pale di San Martino; la malga Caldesa in val di Rabbi e l’isola cimbra di Luserna; le città di Trento e di Rovereto.

Un assaggio di territorio per fare i conti con tutto ciò che di bello propone il Trentino. E se riandiamo all’etimologia latina, il calendario è proprio il «libro di conti»; ma è pure il foglio e il figlio delle calendae, vale a dire il primo giorno del mese. Racconta e accompagna il tempo con la scansione dei giorni.

La civiltà occidentale fu legata per secoli al calendario delle superstizioni ed ai riti delle Chiesa cattolica che si erano sovrapposti ed avevano rimodellato le usanze pagane. E pure oggi, nonostante la secolarizzazione diffusa e dilagante, i giorni del calendario sono accompagnati dal nome di un santo al quale, un tempo, si rivolgevano i devoti ed al cui patrocinio erano legate le scadenze rurali e i riti propiziatori: per i campi, per il raccolto, per la salute; contro le epidemie, le guerre e le intemperie. Ogni giorno un santo, ogni giorno un’invocazione. Così, all’approssimarsi del temporale, dal camino saliva il fumo di un ramoscello d’ulivo accompagnato dall’invocazione: Santa Barbara (4 dicembre) e san Simon (28 ottobre) liberàne da ‘sto tòn, liberàne da ‘sta saéta, santa Barbara benedeta.

Al calendario erano legate le fiere e i mercati. Da S. Matteo (21 settembre) in val di Sole si teneva la fiera del bestiame; per S. Martino (11 novembre) si pagavano gli affitti o si faceva trasloco.

C’era sempre un proverbio, un detto popolare legato al calendario. Così per raccontare il prolungamento del giorno, a partire dal 21 dicembre (solstizio d’inverno), si diceva: Da Nadàl el pass d’en gàl (a Natale il giorno si allunga quanto il passo di un gallo); da San Tomas (Tommaso Becket, 29 dicembre) dala boca al nas; da l’Epifania el pass de ‘na Strìa (il passo di una strega); da sant’Antoni (17 gennaio) el pass del demoni; da Pasquetta (lunedì dopo Pasqua) el pass de ‘na vachéta.

Ancora: Da San Ròch (16 agosto) le noséle le va de s-cròch (le nocciole cadono dalla pianta). I proverbi non si contano mentre tanti anni fa, a scuola, si insegnava a far di conto proprio con i mesi del calendario: Trenta dì conta novembre, con april, giugno e settembre; di 28 ce n’è uno; tutti gli altri ne han 31.

L’anno che verrà sarà bisestile. Avrà, cioè, un giorno in più. Febbraio sarà di 29 anziché 28 giorni. Accade ogni quattro anni. Tutto è legato al calendario detto Gregoriano che, nel XVI secolo, sostituì il calendario “Giuliano” che era stato elaborato da un astronomo greco e promulgato da Giulio Cesare nel 46 a. C.
Il 24 febbraio del 1582, dietro suggerimento dei suoi astronomi, papa Gregorio XIII (1502-1585) decise di modificare il calendario che era in vigore dal 46 a. C. e che aveva accumulato un ritardo astronomico di 11 minuti l’anno, corrispondente a dieci giorni in 16 secoli. Poiché la Pasqua era ed è legata all’equinozio di primavera, senza alcun intervento di lì a qualche secolo la celebrazione principale dei cristiani sarebbe slittata verso l’estate.
Così, per disposizione papale, i cristiani della Chiesa di Roma che andarono a dormire la sera del 4 ottobre 1582 si alzarono l’indomani che era già il 14 ottobre.

Ad ogni buon conto resta un margine di errore. Ogni 10 mila anni il calendario accumula un ritardo di 6 giorni sul tempo astronomico reale.
Quando sarà, se ne occuperanno i nostri nipoti.