I numeri nazionali
martedì 6 Dicembre, 2022
di Redazione
C’è chi si è tolto la vita a Ferragosto a Torino con un sacchetto annodato in testa. Al mattino non rispondeva alla sveglia dell’agente di guardia. Un 25enne si è impiccato nei primi dell’anno. Era entrato in carcere alle 9 di sera il giorno precedente. Di lui si conosce il reato – resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale – ma non il volto. In cella si muore nei periodi festivi – ricorda il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, tornando ad accendere i fari sui suicidi fra i reclusi in Italia: mai così tanti in 10 anni (79), con il tasso che esplode vertiginosamente se si considera che nel 2012 la popolazione detenuta contava quasi 12mila persone in più di oggi ma 23 suicidi in meno. Le morti per mano propria sono quasi la metà del totale dei decessi dietro le sbarre: 194 nei primi undici mesi del 2022, di cui 82 per cause naturali, 30 per cause da accertare e 3 per incidenti; 33 di coloro che si sono tolti la vita erano persone con acclarate fragilità personali o sociali come senza fissa dimora o con problemi di disagio psichico. È una strage che dal 2012 a oggi ha mietuto 583 vittime. Basti un dato per capire che il problema è interno all’istituzione carceria: nel confronto con altri Paese europei, l’Italia non ha un’alta percentuale di suicidi sulla popolazione generale ma su quella detenuta cresce di 15 volte.
Avvengono durante le festività – scrive il Garante dei detenuti nell’introduzione al nuovo studio sul fenomeno – durante le quali «verosimilmente, diminuisce negli Istituti la presenza di personale e di soggetti della comunità esterna e si riducono le attività, a cominciare da quella scolastica». Delle vittime 2022, 74 erano uomini e 5 donne, 46 italiane e 33 straniere di cui 18 senza dimora e provenienti da 16 paesi diversi con in testa Albania, Tunisia e Marocco. Tra i 26-39 anni la fascia più colpita (33) davanti ai 40-54enne (28) e i 18-25enne (9). Il più anziano dei reclusi suicidi aveva 83 anni e un fine pena fissato nel 2030 per un reato definito dall’amministrazione penitenziaria come ‘riprovazione sociale’. È morto mentre si trovava in isolamento per il Covid. L’89% di loro sceglie l’impiccagione. A livello di posizione giuridica il 64,6% era dentro per reati contro il patrimonio e il 59,5% per reati contro la persona o in famiglia. Trentasei erano state condannate in via definitiva, 5 avevano una posizione cosiddetta ‘mista con definitivo’, cioè almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso ma tra loro ben 39 dovevano scontare pene inferiori ai 3-5 anni; 31 persone erano in attesa di primo giudizio e 7 appellanti. Dettagli che posso servire a tracciare profili e statistiche ma non spiegano come mai il 62% dei suicidi in carcere avvengono nei primi sei mesi di detenzioni, un quarto nei primi tre e uno su cinque nei primi dieci giorni dall’ingresso. «La durata della pena ancora da scontare o della carcerazione preventiva spesso non sembrano risultare determinanti nella scelta di una persona detenuta di togliersi la vita. In questi casi – conclude il Garante – sembra piuttosto che lo stigma percepito dell’essere approdati in carcere costituisca l’elemento cruciale che spinga al gesto estremo».