L'intervista

martedì 22 Luglio, 2025

Bambini e disturbi del linguaggio, Vianello Dri (Apss): «I primi segnali a 12 mesi. Il timing è fondamentale. Ecco come intervenire»

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La dirigente dell’unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile: «Il 6% degli infanti soffre di DLD. I ritardi sono provocati da diversi fattori: neurologici, linguistici o uditivi»

«Mio figlio ancora non parla, non ha ancora detto “mamma”, a 12 mesi gesticola soltanto». Quante volte mamme e papà si sono preoccupati per un sospetto ritardo linguistico che poi si è rivelato inesistente? Dai late talkers, ai ritardi (fisiologici) legati al bilinguismo fino ai disturbi del linguaggio veri e propri, Valeria Vianello Dri, dirigente medico presso l’Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell’APSS di Trento traccia una mappatura dell’evoluzione del linguaggio che tutti i genitori dovrebbero conoscere.

 

Dottoressa Vianello Dri, partiamo da cosa è bene conoscere per un genitore: qual è lo sviluppo fisiologico del linguaggio in un bambino?

In linea generale, ci attendiamo innanzi tutto la comparsa alcuni precursori del linguaggio verbale, e cioè  che il bambino inizi a modulare il pianto come appello all’altro in un primo tempo, poi che inizi a rispondere al nostro sorriso e prenda contatto con lo sguardo che gli porgiamo. Questo nei primi mesi di vita. Poi il piccolo che già inizia a vocalizzare, produrrà un repertorio sonoro ricco fatto di vocali o sillabe ripetute, questa fase è detta della “lallazione”. Dobbiamo attenderci che questa dimensione compaia verso il 7-8 mesi di vita. Successivamente, ci attendiamo che le sillabe ripetute nella lallazione “ma-ma” “ba-ba” “ta-ta” “pa-pa”  etc diventino le prime parole dette con intenzionalità comunicativa come mamma, pappa, papà etc .

È importante ricordare che il bambino inizia con il comprendere parole semplici, successivamente le produrrà con il senso che ha saputo cogliere da noi o con un senso proprio non ancora condiviso. Tale tappa, quella della comparsa delle prime parole è attesa per i 12 mesi di vita: si tratta di un vero e proprio atto comunicativo, un suono che ha in tutto e per tutto il valore di una parola. La prima combinazione di parole, almeno due, per formare una frase di solito compare prima dei 2 anni di vita. Esiste una notevole variabilità interindividuale nei tempi di raggiungimento di queste tappe: queste differenze, del tutto fisiologiche, possono essere anche di alcuni mesi.

Parlava di pianto modulato: perché è importante il suo sviluppo?

Il primissimo atto comunicativo che il bambino articola con la voce è il pianto. Se si osserva un neonato vedremo un certo tipo di pianto; vedendo poi il lattante crescere ci accorgeremo che impara piano piano a modulare il pianto in funzione della risposta che viene offerta dal genitore o dal care-giver. Avviene infatti gradualmente una sintonizzazione tra un atto comunicativi iniziale – il pianto – e la risposta del genitore. Sappiamo per esperienza che il pianto non è immediatamente interpretabile nel neonato inizialmente. “Piangerà perché ha fame? – si chiede la mamma – piangerà perché sta male? O perché è stanco?”

A mano a mano che il lattante cresce il genitore prestando attenzione ed “orecchio” al tipo di pianto arriva gradualmente ad interpretare e a dare, possibilmente, una risposta che si modula sul pianto del bambino.

Importanti studi eseguiti su coppie madre-bambino seguite nel primo anno di vita, hanno poi evidenziato come vi siano moltissime componenti che possono o meno predisporre il bambino all’apprendimento e all’utilizzo del linguaggio verbale e queste sono le componenti che vengono certamente stimolate negli scambi preverbali.

Quando ripetiamo un vocalizzo di un lattante “gli rispondiamo” con un tono ed un ritmo che sembra quello di una conversazione, spesso in quei momenti guardiamo il piccolo, gli sorridiamo e, inconsapevolmente, manteniamo attiva la sua attenzione uditiva e visiva congiuntamente dando una tonalità emotiva a questo scambio. Questi elementi sono quelli che ogni genitore stimola e sono tutti precursori di una comunicazione che successivamente diventerà anche verbale.

Sfatiamo un mito, esistono i cosiddetti “bambini pigri”?

Se intende bambini che del tutto normalmente iniziano a parlare con tempi più lunghi rispetto ai coetanei, la risposta è affermativa, abbiamo visto che alcuni bambini iniziano con le prime parole dette intenzionalmente verso l’anno di vita ed altri ci fanno attendere un po’ di più.

In letteratura vengono chiamati “parlatori tardivi” o late talkers in inglese. Si tratta di bambini che producono le loro prime parole anche verso i 15-16 mesi, un maggior numero di parole e almeno una parola frase a 24 mesi, ma utilizzano molte strategie comunicative, tra cui l’indicare ed emettere approssimazioni di parole congiuntamente, utilizzare l’espressione facciale e che danno segnali di una buona comprensione linguistica. Un pattern evolutivo di questo tipo non dovrebbe preoccupare particolarmente il genitore, che può sempre e comunque confrontarsi con il proprio pediatra di riferimento durate i normali controlli di crescita per capire se le tappe di sviluppo globale attese sono sostanzialmente raggiunte dal proprio bambino. Vi è un gruppo poi in cui i parlatori tardivi son maggiormente frequenti: sono i bambini bilingui o trilingui che possono arrivare con un leggero e normale ritardo alla produzione verbale; vivono in un ambiente è sonoro complesso, più difficile da decifrare ed è come se rimanessero più a lungo in ascolto prima di “lanciarsi” nella produzione.

Quali possono essere le cause di un ritardo nel linguaggio?

Questa domanda ci permette di introdurre una prima distinzione clinica che va oltre quella dei parlatori precoci o tardivi, perche le cause sono diverse a seconda che ci riferiamo a disturbi primari o secondari del Linguaggio. Iniziamo dalle condizioni più rare, quelle che vanno comunque escluse dal clinico ma di cui non ci si dovrebbe preoccupare in prima battuta. Si tratta di ritardi determinati da cause estrinseche denominati disturbi secondari.

Ad esempio, un bambino con un apparato uditivo che presenta qualche problema di trasmissione del suono, anche solo per cause infettive (otiti medie secretive ricorrenti) fatichèrà a distinguere le diverse sfumature dell’ambiente sonoro e fatichèrà dunque a riprodurle. Così anche nel caso di una ipoacusia congenita che coinvolge la parte recettoriale (neurosensoriale) implicata nella trasduzione del suono a livello cerebrale.

Sappiamo che un primo screening uditivo viene in realtà già effettuato in tutti i nuovi nati, prima della dimissione dall’ospedale dopo il parto, ciononostante, uno degli accertamenti che viene solitamente dal Pediatra o dal Neuropsichiatra Infantile o dall’Otorinolaringoiatra nel caso di un ritardo significativo del linguaggio è un ulteriore accertamento della funzionalità del sistema uditivo (audiometria/impedenzometria).

Ovviamente anche il sistema anatomico e motorio oro-facciale deve funzionare bene, e la lingua deve essere libera di muoversi. Un bambino con un frenulo linguale particolarmente corto, ad esempio, potrà parlare nelle epoche previste ma nel tempo faticherà nella pronuncia di alcuni suoni. Invece un bambino con una palatoschisi, se non ancora operata, faticherà in tutti i processi che coinvolgono la cavità orale, dall’alimentazione alla fonazione. Queste sono condizioni che si riscontrano solitamente alla nascita e che quindi il pediatra ed il genitore sono preparati ad affrontare precocemente e con le dovute misure chirurgiche e riabilitate-abilitative legate alla terapia logopedia.

Poi abbiamo cause ancora più rare come i ritardi globali di sviluppo, problematiche neurologiche o condizioni particolari di sviluppo del bambino come i disturbi dello spettro autistico in cui il linguaggio può essere presente o meno ed avere caratteristiche evolutive molto peculiari. In questi ultimi casi la compromissione del linguaggio è solo una componente di quadri clinici complessi di interesse specialistico e che non devono essere certamente la prima preoccupazione di un genitore, ma che il pediatra considera nelle proprie valutazioni periodiche.

Quali sono i Disturbi Primari del Linguaggio, invece?

Sono i più frequenti e che non dipendono da alterazioni strutturali estrinseche, ma che sono disturbi specifici della funzione linguistica. Vengono per questo denominati anche Disturbi Specifici del Linguaggio. La loro prevalenza di circa il 6% dei bambini a livello nazionale (5-7%): sono dunque difficoltà di riscontro frequente nella popolazione pediatrica prescolare. I bambini con questo tipo di disturbo possono avere difficoltà a comprendere o produrre il linguaggio, a livello di lessico, sintassi, o fonologia; possono anche presentare difficoltà combinate di produzione e comprensione linguistica. Per definizione: sono difficoltà nello sviluppo del linguaggio che non sono causate da altri problemi evidenti, come deficit sensoriali (udito), neurologici, intellettivi o relazionali.

Nei Disturbi Primari del Linguaggio, quali sono i segnali precursori che potrebbero allarmare?

L’étà di tre anni rappresenta una sorta di spartiacque tra i bambini cosiddetti “parlatori tardivi” e i bambini con un probabile disturbo del linguaggio. La presenza di una produzione di parole ancora non adeguata secondo i parametri dello sviluppo tipico dovrà necessariamente essere valutata da un professionista ed è importante che i genitori si confrontino con il proprio Pediatra in merito

Nel 5-7% della popolazione il disturbo persiste dopo i 3 anni e, in questi casi, è raro che prima dell’età scolare si verifichi un recupero integrale spontaneo delle abilità linguistiche attese per l’età cronologica.

Per questo, anche se la diagnosi può essere fatta tra i 3 e i 4 anni, è bene che la presa in carico sia fatta con un timing corretto, in modo particolare se si segnalano difficoltà comunicative e di comprensione.

Bisogna considerare i seguenti campanelli d’allarme: 12 mesi: difficoltà di comprensione e mancata comparsa delle prime parole; 24 mesi: difficoltà di comprensione e vocabolario fortemente ridotto (inferiore a 10 parole); 30 mesi: difficoltà di comprensione e vocabolario con meno di 50 parole, assenza di combinazioni di due parole per esprimere richieste/bisogni (es. “voglio pappa!”); dopo i 30 mesi: difficoltà di comprensione e assenza di frasi anche semplificate.

 

Una volta diagnosticato un deficit nello sviluppo del linguaggio, la situazione come si evolve? Si risolve o sfocia in altre difficoltà?

Una volta fatta una diagnosi di un disturbo specifico del linguaggio è bene che il bambino faccia un percorso appropriato di terapia. I terapisti specializzati nel trattamento di queste difficoltà sono i logopedisti che in Azienda Sanitaria si trovano all’interno dei Servizi di Neuropsichiatria Infantile. Anche se esistono in Provincia di Trento centri convenzionati e terapisti privati. Per quanto riguarda la sua giusta domanda sull’evoluzione clinica, possiamo affermare che tali disturbi tendenzialmente si risolvono a livello del linguaggio verbale, a meno di rari casi particolarmente resistenti. Quello che poi possiamo ritrovare in età scolare è il permanere di alcune difficoltà nell’acquisizione dei processi di lettura e scrittura.