mercoledì 9 Novembre, 2022

Arno, la Svp e l’astensione

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La cosa forse più strana dell’astensione Svp nel voto di fiducia al governo Meloni è che, a lavorare per ottenere il risultato con uno zelo difficile da comprendere, sembra essere stata soprattutto la Stella alpina, più che gli esponenti dei partiti governativi

La cosa forse più strana dell’astensione Svp nel voto di fiducia al governo Meloni è che, a lavorare per ottenere il risultato con uno zelo difficile da comprendere, sembra essere stata soprattutto la Stella alpina, più che gli esponenti dei partiti governativi. E questo un poco sorprende. Perché in realtà se il «partito di raccolta dei sudtirolesi» avesse votato contro una leader che ha nel cuore la fiamma tricolore e che, per 11 volte, nel discorso di insediamento, ha usato il termine «nazione» invece di «Paese», non sarebbe successo assolutamente nulla. Anzi, era nelle cose: il sole sorge ad est e il partito della «minoranza austriaca» in Italia si schiera contro il primo governo di destra-destra della storia repubblicana. Normale, no? Invece, pur con il mugugno a reti unificate della senatrice Julia Unterberger, le cose sono andate diversamente.
Ma al di là della sorpresa o meno per l’astensione, va rilevato che, come ormai accade da tempo, un’idea su cosa sarebbe potuto accadere era possibile farsela leggendo il quotidiano Athesia Dolomiten. La famiglia Ebner esprime da sempre simpatie per i partiti di centrodestra, ma da almeno un decennio vive un vero amore «tutto di pancia» con il leghismo (memorabile a questo proposito un recente tributo pubblico del caporedattore Toni Ebner all’ex deputato bolzanino Maturi) ed ora sembra fatalmente folgorata – come mezzo Paese, del resto – dal «giorgismo». Ad urne ancora calde, il 27 settembre, lo Chefredakteur scriveva sul Dolomiten: «Sì, è vero che Fratelli d’Italia porta ancora nel suo logo la Fiamma Tricolore del vecchio partito post-fascista Movimento Sociale Italiano (MSI). Ma Giorgia Meloni è stata in grado di comunicare in modo credibile che ha rotto con il fascismo e che si preoccupa solo del benessere dei cittadini». Dopo aver ribadito l’inoffensività dei precedenti governi di centrodestra e la vicinanza alla Lega, il direttore del «giornale dei sudtirolesi» aggiungeva: «Il governo Meloni avrà in agenda altre cose prima di pensare di comprimere l’autonomia dell’Alto Adige».
In realtà, quanto meno sulla posizione dell’autonomia nell’agenda politica, si sbagliava. Si è visto poi, infatti, che grazie all’azione a tenaglia dell’eurodeputato Svp Dorfmann sul vicepremier Tajani e di Meinhard Durnwalder sul ministro Calderoli, nel discorso programmatico della premier, invece della classica e innocua «tutela delle autonomie» che accontenta tutti, è stata infilata a sorpresa la scivolosissima frase: «Parallelamente alla riforma presidenziale, intendiamo dare seguito al processo virtuoso di autonomia differenziata già avviato da diverse Regioni italiane secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, in un quadro di coesione nazionale. Per la provincia di Bolzano tratteremo del ripristino degli standard di autonomia che nel ’92 hanno portato al rilascio della quietanza liberatoria Onu». E tutti a gioire per il grande risultato politico, tranne, ovviamente, i politici trentini, piccati per la incredibile dimenticanza del loro territorio.
Kompatscher a quel punto è stato preso in contropiede. Il presidente altoatesino non ha mai nascosto la sua vicinanza al centrosinistra, e dopo la vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni aveva fatto educatamente presente che, a suo giudizio, sarebbe stato più coerente con la storia del partito votare no alla fiducia. Il suo orientamento politico non «blockfrei» (fuori dai blocchi) è peraltro uno dei molti motivi per cui «Arno» ha un rapporto complicato con Athesia. Ma, visto che la dura campagna per farlo dimettere avviata lo scorso anno, si è per il momento trasformata in un’accettabile tregua armata, il Landeshauptmann per quasi un mese ha ribadito pubblicamente il proprio pensiero.
Questo significa che, alla luce della successiva astensione, Kompatscher sia uscito sconfitto dal confronto? Non esattamente. Per evitare la solita querelle tra vincitori e vinti si è deciso di porre l’asticella molto in alto, chiedendo venisse inserita la famosa «frasetta» poi pronunciata durante il discorso da Meloni. Kompatscher era forse convinto che la premier non l’avrebbe fatta propria e, infatti, in conferenza stampa, pochi minuti dopo il pronunciamento del discorso alla Camera, è apparso quasi smarrito: a quel punto come insistere sul no ad un esecutivo disposto ad inserire sotto dettatura una frase impegnativa come un qualsiasi governo di centrosinistra?
Kompatscher non ha dunque potuto che mettersela via e Fugatti ha diligentemente fatto finta di nulla, come se la dimenticanza del Trentino nel discorso non fosse in realtà sintomatica dello “stato di fatto” dell’autonomia regionale. Sul Dolomiten, poi, nei giorni scorsi i parlamentari Svp si sono detti sicuri che Calderoli darà loro molte soddisfazioni. E un segnale non si è fatto attendere. A tempo di record Kompatscher e l’Obmann Svp Achammer sono stati convocati dall’ex presidente della commissione paritetica per una scenografica dichiarazione di intenti sull’ampliamento dell’autonomia.
Quindi la presidente Meloni e Fratelli d’Italia sarebbero pronti a sconfessare la linea politica «italianista» (e classificata dall’Svp come ultra-nazionalista) portata avanti per decenni con grande veemenza dal neodeputato altoatesino Alessandro Urzì? Vero che la politica è l’arte del possibile, ma probabilmente, prima o poi, qualcuno è destinato ad uscirne con le ossa rotte. Dopo la visita a Calderoli lo stesso Kompatscher, il quale non è costretto a fingere di fare i salti di gioia come i suoi colleghi di partito, ha ammesso che l’autonomismo leghista potrebbe non essere sufficiente ma «sarà necessario trovare un’ampia maggioranza parlamentare».
La storica astensione Svp ad un governo guidato da quelli che un tempo venivano definiti i «nipotini» dell’italianizzatore fascista Ettore Tolomei insegna comunque un’altra cosa: che la fretta è sempre cattiva consigliera. Se è poi unita al pressapochismo rischia anche di fare danni. E non pochi. La frasetta inserita nel discorso programmatico è, infatti, molto ambigua e deve essere il frutto di comunicazioni a distanza tra Arno Kompatscher e la delegazione Svp a mo’ di «telefono senza fili» in cui il messaggio di partenza arriva al destinatario incompleto o stravolto.
Perché buttato lì in quel modo, con un cenno comprensibile a stento anche dagli addetti ai lavori, il richiamo ai bei tempi pre-quietanza liberatoria dell’Austria, rischia di essere il classico boomerang che si stampa sulla fronte. Lo ha spiegato bene l’ex senatore e costituzionalista, Francesco Palermo. «Se si fosse detto che il problema è la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni, ed è forse quello che si intendeva dire, benissimo. E pure se il richiamo del 1992 non fosse di merito, ma di procedura la cosa andava specificata, anziché fare ricorso a degli slogan molto scivolosi. Perché sul piano giuridico il pre-1992 è alquanto problematico. Dal punto di vista del contenuto, le competenze del 1992 erano parecchio inferiori alle materie attuali». Quella cruciale sullo sfruttamento dell’energia idroelettrica – per fare solo un esempio – è stata inserita nello Statuto diversi anni dopo. In questi tempi con le bollette alle stelle è meglio che nessuno lo ricordi alla presidente.