L'intervista

sabato 25 Maggio, 2024

Al Giro d’Italia Trentin parla di sicurezza e chiede regole: «Più severità in strada»

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Il campione valsuganotto evidenzia le diversità culturali fra automobilisti italiani e di altri Paesi, quando si tratta di affrontare ciclisti: «In Francia e Spagna si fa più attenzione e c’è rispetto»

Con la partenza della diciottesima tappa del Giro d’Italia da Fiera di Primiero, il Trentino ha salutato per quest’anno la corsa rosa lanciandola verso il traguardo finale di Roma. Chi mancava da diverso tempo sulle strade del Giro è Matteo Trentin che, con l’occasione, ha potuto scoprire l’inedito versante del Passo Brocon. Una salita tutta da provare anche per lui, che borghigiano di origine non aveva mai affrontato la scalata dalla val Malene. Tra le altre cose, è stata l’occasione per trattare un tema molto delicato come quello della sicurezza stradale: poche settimane fa la tragedia di Matteo Lorenzi ha riportato in luce un argomento spinoso che in Italia sembra non trovare pace. Da anni, Matteo Trentin è anche vicepresidente ACCPI in attività (Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, ndr) e di queste problematiche ne ha parlato spesso, dandoci il suo punto di vista sulle azioni correttive che altri paesi hanno già adottato.
Trentin, innanzitutto che bilancio fa sin qui del suo Giro d’Italia?
«Sta andando abbastanza bene. È stato un Giro un po’ strano, per la maggior parte ci son state volate o tappe dure. Nelle uniche due frazioni adatte alle mie caratteristiche ero davanti, ma sono state poche le occasioni dove la fuga è arrivata. Se non tira la UAE Emirates, ci pensa qualche altra squadra a fare il lavoro per loro, ma non si sono accorti che se porti Tadej al traguardo, ti batte anche se non vuoi».
Ha corso per anni con Pogacar, cosa lo differenzia dagli altri?
«Ho sempre detto che ciò che sta facendo lui, in passato l’ha fatto soltanto un altro ed il suo nome è Eddy Merckx. Per trovarne un altro uguale passeranno tantissimi altri anni. È un corridore completo a tutto tondo: quando ha deciso di vincere il Fiandre, l’ha vinto, idem per la Strade Bianche, ha fatto la Sanremo. Quest’anno si è prefissato di fare la doppietta Giro-Tour e vedremo se ci riuscirà, ma se c’è qualcuno che può fare quest’impresa da qui ai prossimi 15 anni è sicuramente lui».
Il Trentino cerca di far scoprire sempre salite nuove: dalla Sega di Ala al Menador, il Bondone da Aldeno ed ora il Passo Brocon. Aveva mai affrontato il versante dalla val Malene?
«No, perché non sono mica scemo (dice ridendo, ndr). Nonostante abbia abitato lì in zona per diversi anni, non ho mai fatto quel versante della salita. Mi avevano detto fosse duro, ma non mi aspettavo così. Strada stretta, tanti tifosi sul percorso nonostante il meteo. È stato un bello spot per il Trentino».
Eppure, a livello di appeal, c’è ancora tanta differenza tra Giro e Tour. Lei ha corso diversi anni alla Grand Boucle, cosa manca al Giro per raggiungere quello status?
«Al Tour è tutto più grande: più persone sulla strada, più giornalisti, più media. Il fatto che sia a luglio incide. Poi, è brutto da dire, ma il Tour de France per i francesi è un evento di portata nazionale mentre il Giro purtroppo no: è un peccato perché tocchiamo zone bellissime, facciamo vedere i nostri territori al mondo. In Francia, il Presidente della Repubblica segue almeno una tappa, mentre al Giro è raro che avvenga. Lo vedremo quest’anno perché arriviamo a Roma, ma questo fa una grossa differenza».
Un fatto di cultura, così come quello della sicurezza stradale. Poche settimane fa in Trentino si è consumata l’ennesima tragedia. Cosa si può concretamente fare affinchè le strade siano più sicure?
«Devo dire che in Trentino il problema è più per noi ciclisti sportivi. Quando vengo qui per le vacanze, i miei bimbi sono felicissimi di andare in bicicletta perché le ciclabili sono ben strutturate e ben fornite. Si può andare in sicurezza e mi fido anche a farli andare da soli. Questo fa capire quanto siamo avanti rispetto ad altre parti d’Italia. Purtroppo, però, il rispetto stradale è una piaga non indifferente. Per noi che usiamo la strada per allenarci è un grande problema».
È un problema di cultura o andrebbero essere previste delle azioni preventive?
«Entrambe le cose. Da un lato, dovremmo far rispettare di più le regole, mentre dall’altro cercare di cambiare la cultura di tutti noi. Per esempio, io ho fatto scuola guida ormai tanti anni fa, però credo che sarebbe bello che già in fase di apprendimento si mettesse in risalto il fatto che se si incontra una bicicletta, si debba frenare. Piano piano cambiare questa mentalità. Io abito nel sud della Francia e la situazione è un po’ migliore. Addirittura, quando andiamo in ritiro in Spagna sembra di stare in paradiso. La gente non ti supera finchè non è sicura di poterti sorpassare in completa sicurezza. Questo perché, da qualche anno, la Guardia Civil spagnola ha deciso di affrontare la situazione con la mano pesante. E si sa, quando tocchi il portafoglio alle persone, non è mai contento nessuno».