l'inchiesta sulle seconde generazioni

sabato 13 Aprile, 2024

Abed Elbakki Rtaib: «La mia identità sospesa tra mondi. Ho osservato poche regole poi il pellegrinaggio alla Mecca mi avvicinò alla fede»

Raccontare le seconde generazioni - cioè i figli e le figlie dei migranti, spesso nati e cresciuti in Trentino - attraverso filtri differenti da quelli usuali come la cultura, la sessualità, le relazioni, la religione. Dimensioni non statiche ma mutevoli e che spesso rivelano i compromessi delle identità. È questo l’obiettivo dell’inchiesta del T che oggi pubblica la quarta puntata

Un’adolescenza all’occidentale e poi il viaggio alla Mecca che gli ha cambiato prospettiva. Abed Elbakki Rtaib, nato a Trento nel 1991, è cresciuto in una famiglia di migranti di origine marocchina; tra i primi ad arrivare in Trentino a fine anni Ottanta. La sua è la storia di una seconda generazione con un’identità sempre in bilico e l’esito di molteplici negoziazioni. Tipico di chi ha due mondi di riferimento. Dopo alcune brevi relazioni e una gioventù inseguendo «i piaceri della vita» senza osservare le regole imposte dalla religione, Rtaib tornò dal pellegrinaggio profondamente cambiato. Ne seguì un percorso spirituale di avvicinamento alla fede musulmana al quale prese parte anche quella che un tempo era la sua ragazza (italiana) e che decise poi di convertirsi all’islam. Storie di frontiera.
Quanto hanno inciso l’islam e la cultura dei suoi genitori nella sua vita?
«La religione è stata molto importante sempre. Fino ai 19 anni, però, l’ho vissuta come qualcosa di ereditato dai miei genitori, in modo quasi passivo. Praticavo, sì e no. Diciamo finché mi era comodo. Pregavo cinque volte al giorno, digiunavo durante il Ramadan, andavo al sermone del venerdì in moschea ma qualche ragazzata l’ho fatta. Mi sono concesso alcuni piaceri della vita, non lo nego…».
Cosa intende?
«Frequentavo la mia comunità in moschea perché era obbligatorio, il venerdì facevo la preghiera assieme a loro ma sulla parte del rispetto delle regole ho avuto alti e bassi. Non ho mai bevuto alcool, ma ho avuto qualche storia, qualche cotta…».
Una di queste storie poi si è conclusa con un matrimonio.
«Sì. Lei è italiana, frequentavamo lo stesso liceo e abitava non lontano da casa mia. Ci conoscevamo di vista ma avevamo un giro di amicizie diverse. Era estate ed è iniziato tutto con un gelato. Poi, un gelato tira l’altro e abbiamo iniziato ad uscire come farebbe un qualsiasi adolescente. Facevamo le nostre serate estive e proprio in una di queste serate abbiamo capito che c’era qualcosa di più di un’amicizia».
Lei, però non era musulmana.
«Non all’inizio, poi si è convertita. La nostra è stata fin da subito una storia molto intellettuale. Lei credeva in una divinità superiore ma non si sentiva legata ad alcuna fede. Era una persona molto curiosa, però, ed aveva approfondito il buddhismo e piano piano si è avvicinata anche all’islam. Fu lei a sostenermi nel mio percorso spirituale».
C’è stato un momento in cui la vostra relazione ha vacillato?
«Siamo arrivati a un punto di non ritorno dopo il mio viaggio alla Mecca».
Ce lo spieghi meglio.
«Nel 2011 ero in un momento di down spirituale, nel senso che avevo una vita sociale molto lontana dalla comunità islamica e decisi di accompagnare mia madre in pellegrinaggio alla Mecca in un momento storico in cui in Arabia Saudita le donne dovevano essere accompagnate da un uomo. Stavo già assieme alla mia attuale moglie e quando sono tornato le ho comunicato che avrei seguito la religione alla lettera. Lì le opzioni erano due: poteva andarsene o restare con un me cambiato».
Lei però è rimasta. Come è cambiata la vostra relazione?
«Più che altro io sono tornato diverso. Ho deciso di riavvicinarmi alla fede e lei ha accettato di supportarmi in questo percorso spirituale che mi ha portato a una pratica religiosa più disciplinata. Lei ha seguito con molto interesse questa mia evoluzione ed è arrivata ad abbracciare l’islam».
Si è convertita quindi?
«Esatto. Ricordo che me lo disse mentre eravamo sul pullman di ritorno da una visita medica. Poi ha anche eseguito il rituale davanti alla mia famiglia».
Si sarebbe immaginato in una relazione diversa da quella che ha ora?
«In adolescenza non ero l’uomo musulmano doc ma ho sempre evitato di perdere tempo in relazioni frivole. Ho sempre cercato un rapporto serio e finalizzato al matrimonio, alla costruzione di una famiglia e per molte ragazze con cui mi sono frequentato poteva suonare strano ed affrettato. Infatti, appena si palesavano incompatibilità mi allontanavo. Con mia moglie abbiamo trovato un cammino comune. Ripeto, avesse scelto diversamente saremmo rimasti amici ma nulla di più».
Non era disposto al compromesso?
«Non ce n’è stato bisogno».
Questo suo attaccamento alla religione è un suo autonomo percorso o deriva da insegnamenti della sua famiglia?
«Io ho amici marocchini e musulmani che hanno scelto altre strade. Sicuramente i miei genitori mi hanno trasmesso i valori dell’islam e con loro anche l’imam di Trento Breigheche e il mio educatore in Marocco che ha seguito il mio percorso. Anche la scuola di corano che frequentavo è stata importante. Diciamo che tutto l’ecosistema ha influito sulla mia educazione e ha fatto “click” nella mia personalità».
Se avesse scelto strade diverse, i suoi genitori l’avrebbero accettato?
«I miei genitori sono conservatori, praticanti e sicuramente mi hanno cresciuto con un certo tipo di impostazione. Devo dire che abbiamo avuto molti scontri ma non sulla fede. Poi c’è anche da dire che siamo culturalmente più vicini al pensiero occidentale. I marocchini sono diversi dai bengalesi o dai pakistani che sono molto condizionati dalla cultura e dalle tradizioni. Mia moglie, invece, ha avuto parecchi problemi con la sua famiglia quando si è convertita. Ma questo è un capitolo a parte».