Immigrazione

mercoledì 29 Marzo, 2023

A Mori i volontari insegnano l’italiano ai migranti

di

La scuola serve soprattutto come strumento di integrazione e socializzazione

Sharifa e Naida non si conoscevano. Non avrebbero avuto mai modo di conoscersi, se non altro perché una è marocchina e parla arabo, e l’altra è pakistana e parla urdu o inglese, in cui è laureata. Eppure sono entrambe cittadine di Mori, i loro figli si incrociano al parco o a scuola; condividono molte cose e le strade della vita le hanno portate in Italia e a scegliere, con la loro famiglia, di costruirsi un futuro a Mori. Eppure, non avrebbero mai fatto amicizia se non ci fosse stato il laboratorio di italiano per stranieri promosso dai volontari del coordinamento attività accoglienza migranti di Mori (Caam). Sharifa e Naida comunicano in italiano, fanno passeggiate assieme, si scambiano le ricette, le cose che tutti noi facciamo con gli amici. Non è che uno dei tanti, piccoli risultati che ha ottenuto il laboratorio, che si tiene tra l’oratorio e casa Dalrì di Appm. Partito in aprile 2022, ha intercettato un numero enorme di persone, considerata la natura del progetto: 50 donne di provenienza straniera, tutte residenti a Mori, per un totale di 13 nazionalità (paesi africani, India, Pakistan, Balcani, Europa dell’est, tra cui per un periodo anche delle ucraine). Sono seguite da una dozzina di volontari e volontarie e da una professionista, Chiara Montanari, facilitatrice di italiano per stranieri. I fondi sono stati reperiti grazie a contributi del Comune, della cassa rurale, della Fondazione Caritro (tramite Appm e Istituto comprensivo), di privati e in ultimo dell’associazione buddista di Manzano, che ha permesso l’avvio di una quarta fase. Attualmente ci sono due gruppi, uno di livello base, con 10-12 donne, ed uno avanzato, con 9-10 frequentanti. I gruppi sono cambiati nel tempo, per esempio gli ucraini hanno partecipato nella prima fase; in generale la frequenza è assidua, c’è chi lungo il percorso ha avuto un figlio, chi ha dovuto rinunciare per motivi famigliari. Alcune sono state indirizzate ai corsi di italiano del Don Milani per ottenere la certificazione linguistica. L’obiettivo del corso di Mori va oltre, invece, il solo insegnare l’italiano alle madri straniere. Sono le persone che più difficilmente riescono ad avere occasioni per acquisire la lingua, perché devono seguire i figli, spesso numerosi, e, non avendo appoggi o aiuti della rete famigliare, non hanno possibilità di lavorare. «Il laboratorio è stato costruito assieme ai partecipanti – spiega Rita Passerini, tra le coordinatrici del gruppo – e la lingua non è l’unico obiettivo. Insegniamo l’italiano in modo pratico, adattato alle esigenze della vita quotidiana, questi corsi sono però anche un modo di socializzare, di avviare percorsi di integrazione e conoscenza tra gruppi linguistici diversi». Nei laboratori ci sono donne analfabete, per le quali si applica una metodologia specifica; si fa anche gruppo, con visite in biblioteca o condividendo le ricette. Le radici dei laboratori per donne straniere vengono dal 2015, dall’emergenza rifugiati; fu allora che nacque il Caam, coordinato dall’allora assessore Roberto Caliari; i corsi venivano tenuti da professionisti. Però, si sa, nel frattempo i fondi per i migranti sono stati tagliati, i bisogni non sono venuti meno. «Abbiamo deciso di riprendere, nel 2020 ci siamo trovati con i volontari, la domanda c’era… la pandemia ci ha interrotto, ma con il 2022 abbiamo trovato i fondi», spiega Rita Passerini. Nel gruppo di volontari ci sono diverse maestre in pensione che insegnano («Restituiamo alla comunità quanto abbiamo appreso», dicono Luigia, Flavia, Anita, Lucia), ma presto ci si è resi conto di un’altra esigenza: tenere i bambini delle madri frequentanti. Alcune volontarie sono maestre d’asilo in pensione e sono intervenute per accudire i bambini mentre le mamme facevano lezione. E quest’ultimo aspetto apre un grande tema. «Avevamo 7 mamme in aula, con 26 bambini da tenere. Per fare 26 bambini, quante famiglie italiane ci vorrebbero, adesso? – si chiede Fabrizio Barozzi dell’Arci di Mori, che del progetto è l’ente capofila – a Mori circa il 30% dei bambini nati sono di famiglie di provenienza straniera. Queste donne, queste famiglie costruiscono qui il loro progetto di vita. Una borgata piccola come la nostra sta cercando di dare risposte, ancora insufficienti, ma emerge che si possono ottenere risultati importanti. Iniziative come questa sono lasciate alla buona volontà, ma dove questa non c’è, o in contesti più grandi, come si va avanti? E queste donne non sono in difficoltà estreme (penso soprattutto alla casa, che è un problema dirompente), ci sono famiglie in situazioni più complicate, e bisognerà rispondere, se non vogliamo che le cose ci cadano addosso».