L'intervista
mercoledì 3 Settembre, 2025
Marco Cappato: «La maggior parte degli elettori è favorevole all’eutanasia. In Italia c’è un problema di democrazia, il governo gioca sulle parole»
di Paolo Morando
L'attivista noto per le sue campagne per le libertà civili e per le azioni di «disobbedienza» sarà ospite di Oriente Occidente venerdì 12 settembre alle 18 nella sala conferenze del Mart

È un film sul fine vita, quello in programma venerdì 12 settembre alle 18 nella sala conferenze del Mart: in «Polvo serán» di Carlos Marques-Marcet, con coreografie di Marcos Morau, si racconta dell’amore tra Claudia e Flavio, e della malattia di lei, che li porterà in Svizzera dove è possibile accedere al suicidio assistito. E sarà questo l’argomento che, a seguire, vedrà Marco Cappato dialogare con Simone Casalini, direttore de «il T». Per due volte eurodeputato eletto nella Lista Bonino (1999-2004 e 2006-2009), Cappato è noto per le sue campagne per le libertà civili e per le azioni di «disobbedienza» che, proprio sul tema dell’aiuto al suicidio in Italia, lo hanno portato ad affrontare arresti e processi. «Con la nostra disobbedienza civile sul caso di Dj Fabo – spiega – avevamo costretto il Parlamento, negli ultimi giorni della legislatura del governo Renzi, ad approvare la legge sull’interruzione delle terapie e sul testamento biologico. Quindi è già da otto anni che in Italia è chiarita una procedura precisa per ciò che già la Costituzione dice: cioè che nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario contro la propria volontà, anche se questo provoca la morte del paziente. E poi c’è il diritto a depositare il proprio testamento biologico, gratuitamente, in Comune. Anche questo, quasi nessuno lo sa. Non è mai stata svolta una campagna informativa istituzionale per far conoscere questo diritto e spesso nemmeno i medici conoscono che cosa sia veramente il testamento biologico, oltre a non dare informazioni chiare sull’interruzione delle terapie».
Figuriamoci sull’aiuto medico alla morte volontaria.
«È stato legalizzato ormai da sei anni con sentenza della Corte costituzionale, che ha valore di legge: persone in condizioni di lucidità e sofferenze insopportabili, con patologie irreversibili e tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale già ora ne hanno diritto. E la Consulta ha indicato la precisa responsabilità delle Asl, cioè del Servizio sanitario nazionale, per farlo».
C’è un nodo che riguarda l’azione delle Regioni?
«Ovviamente non è una Regione che può decidere chi ha diritto e chi non lo ha ad accedere all’aiuto alla morte volontaria. Questo deve essere compito del legislatore nazionale o della Corte costituzionale, che infatti ha fatto proprio questo. È però responsabilità delle Regioni decidere sulle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie, che possono essere diverse, come avviene banalmente anche per gli interventi chirurgici».
Per questo, come Associazione Luca Coscioni, state presentando leggi di iniziativa popolare in tutte le Regioni?
«Sì, con lo scopo di definire tempi certi e procedure certe. Faccio due esempi: la prima persona che ha ottenuto l’aiuto alla morte volontaria è stato Federico Carboni, che ha atteso due anni prima di essere sottoposto alla visita. Laura Santi, ora in Umbria, ne ha visti passare tre prima di avere il via libera. È chiaro che una persona in condizione di malattia terminale non ha il tempo per aspettare. La nostra proposta prevede che in un mese il Servizio sanitario nazionale svolga le verifiche. Tra l’altro, che la visita avvenga tempestivamente serve per chi ha il diritto di uscire da una condizione di tortura, ma anche per chi non lo ha, per dare rapidamente risposte di cura e di assistenza».
La Toscana è la prima Regione ad avere approvato finora la vostra legge di iniziativa popolare, giusto?
«Sì, con qualche piccola modifica da parte del Consiglio regionale. Ora la proponiamo identica nelle altre Regioni. Anche in Trentino stiamo raccogliendo le firme. Ovviamente servirebbe una legge nazionale. Ma la legge che ha presentato il governo va contro i diritti stabiliti dalla Corte costituzionale e prova anzi a cancellarli. Ovviamente non può farlo in modo frontale. Crea però tutta una serie di vincoli che di fatto renderebbero impossibile la possibilità di usufruire di tali diritti».
Un esempio?
«La sentenza della Corte costituzionale prevede il ruolo del Servizio sanitario nazionale, mentre la legge del governo lo esclude, non solo nella fase di erogazione, anche in quella di verifica dei requisiti. Si crea invece un Comitato nazionale di valutazione di nomina governativa, quindi non più le commissioni delle Asl con i medici, ma una specie di super comitato etico nazionale che avrà la possibilità di dire no a qualsiasi richiesta: all’inizio lo volevano anche chiamare così, poi si sono accorti che era meglio camuffare le cose. E poi c’è una questione che può sembrare burocratica, ma che è la più grave di tutte».
Vale a dire?
«La Corte costituzionale ha definito come criteri la lucidità, la patologia irreversibile, la sofferenza insopportabile e il fatto che una persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Successivamente, ha chiarito che il trattamento di sostegno vitale può essere anche fornito da un familiare, o un caregiver. Questa interpretazione amplia in modo molto importante la platea dei potenziali aventi diritto, perché specifica che non si sta parlando solo di persone attaccate a una macchina. Il governo, invece di “trattamenti di sostegno vitale”, parla di “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”. E il gioco è fatto. La differenza tra persone attaccate alla macchina e persone in condizioni di dipendenza da farmaci salvavita o assistenza continuativa, definisce proprio una scala di grandezza diversa».
Con l’attuale maggioranza di governo, sembra però arduo ipotizzare un intervento non restrittivo in questa direzione.
«Qui c’è un problema di democrazia che va al di là del tema del fine vita. Tutti i sondaggi indicano che la stragrande maggioranza degli elettori anche di centrodestra è da anni favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia. Ecco perché ora cercano di mischiare le carte in tavola. Tutto dipenderà dal grado di conoscenza e informazione nell’opinione pubblica quando questa legge sarà portata al voto».
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