l'intervista

venerdì 18 Luglio, 2025

Zorzi, l’eroe del 2006: «Olimpiadi? Un’occasione e saremo pronti. Fiemme è all’altezza»

di

Il campione, ex fondista di Moena: «Portavo una “Z” nei capelli come marchio: quelli dietro capivano che davanti avevano “Zorro”»

Giochi di Torino 2006, l’immagine è di quelle iconiche: quarto e ultimo frazionista della staffetta azzurra 4x10km, Cristian Zorzi entra solitario e trionfale nello stadio di Pragelato, raccoglie dalle tribune la bandiera tricolore e la sventola fin al traguardo nel tripudio della folla impazzita di gioia. Sembra un nuovo Cesare al ritorno a Roma dalla Gallia. Indimenticabile, per chi era lì e per chi quel momento magico lo visse davanti alla tivù: «Nel 1992 l’Italia era arrivata seconda ai Giochi di Albertville alle spalle della Norvegia, ma due anni dopo, a Lillehammer, vincemmo in casa loro; nel 1998 a Nagano e 2002 a Salt Lake City eravamo arrivati secondi, sempre dietro a loro; diciamo che l’Italia in quegli anni si presentava sempre tra le favorite e rivaleggiava coi norvegesi, perché eravamo gli unici in grado di contrastarli», ricorda bello baldanzoso come sempre “Zorro”, mentre scende da un’ escursione sullo Sciliar al Rifugio Bolzano.

Cristian, per come va il fondo azzurro, vent’anni dopo sarà difficile rivivere quel momento a Lago di Tesero il prossimo febbraio. Che ne dice?
«È vero, ultimamente non siamo più protagonisti a livello di squadra, ma mai dire mai: esiste il Lato B, o Fattore C, o come lo vogliamo chiamare».
Aveva i capelli fucsia quel giorno.
«Il colore dei capelli è sempre stato il mio cavallo di battaglia. Portavo una “Z” nei capelli come marchio: così quelli dietro capivano che davanti avevano “Zorro”. Un teatrino messo in piedi per pura goliardia. Sono sempre stato un tipo estroso, e ancora di più lo sono diventato stando a fianco a mia moglie che ha una vena artistica».
Assonanza col suo cognome a parte, perché “Zorro”?
«Storia lunga. Correva il 1992 e portarono noi Junior in Sicilia per un raduno. C’erano anche tutti gli “anziani” della squadra, a parte Maurilio De Zolt che odiava il mare. Prendevo il sole con gli occhiali, e all’inizio mi chiamarono “Gigio”, da Topo Gigio per via delle guanciotte gonfie e arrossate. Il segno degli occhiali sembrava una mascherina, “Bubu” Valbusa mi disse allora “sembri Zorro”, e da lì il soprannome è partito».
Quando ha capito che il giovane “Zorro” ne avrebbe poi infilzati parecchi?
«A una 15 chilometri skating di Coppa del Mondo a Sappada, non ricordo se nel 1995 o ‘96; io e Pietro Piller Cottrer eravamo cadetti, partimmo con pettorale attorno al 90: scattammo subito velocissimi in partenza e dopo un chilometro e mezzo eravamo in zona podio davanti a mostri sacri come Bjorn Dahlie. Non potevamo tenere quel ritmo pazzo, alla fine “saltammo” e arrivammo nelle ultime posizioni. Ci eravamo fatti, però, notare: “Siete forti voi due, avete velocità” ci dissero facendoci i complimenti. La velocità è sinonimo di tecnica. La base, insomma, c’era. Mancava la resistenza, ma quella viene con l’allenamento».
A febbraio le Olimpiadi saranno a casa sua. Come procede la marcia di avvicinamento?
«Direi bene. I trampolini sono pronti, lo stadio del fondo è stracollaudato; qui abbiamo sempre respirato le discipline nordiche. L’unica cosa che mi lascia, semmai, un po’ perplesso è il villaggio olimpico. Mi sembra siano un po’ indietro, ma di sicuro accelereranno e finiranno i lavori in tempo».
Cosa darebbe lei per poter disputare un’Olimpiade in casa, davanti alla sua gente e alle sue montagne?
«Gambe e polmoni di certo no, perché sa com’è… mi servivano… (ride, ndr). Diciamo qualche anno di vita in meno, sebbene io l’esperienza di correre in casa l’abbia vissuta ai Campionati del Mondo del 2003 dove sentii però la pressione e furono per me dei Mondiali sofferti. Mi vennero, tuttavia, utili per imparare a gestirla, la pressione, ai Giochi di Torino tre anni dopo. Questa è un’Olimpiade strana, nel senso che è dislocata in sette location; è una novità, ma sinceramente non so quanta aria olimpica si possa respirare. Vedremo».
Cosa deve lasciare l’Olimpiade alla Val di Fiemme?
«La Val di Fiemme si è sempre dimostrata all’altezza di grandi eventi come i Mondiali e la Coppa del Mondo. Ha sempre risposto con grande professionalità a quanto le è stato chiesto. Le Olimpiadi ci daranno una dimensione sempre più internazionale, non solo nel nordico ma a livello generale. Sono un’occasione preziosa e importante».
E oggi “Zorro” che fa nella vita?
«Sono rimasto nell’ambiente e faccio un po’ di tutto, lavoro come istruttore nella Guardia di Finanza e le giornate scorrono belle piene. Non ho mai cercato il denaro, ma ho sempre privilegiato il rapporto umano; sarà anche per questo che ho tuttora gli stessi sponsor, e mi chiamano di qua e di là. Mi piace andare in bicicletta, ho appena fatto la Maratona delle Dolomiti; mi chiamano per partecipare a eventi benefici, e ci vado volentieri, perché se una volta il mio scopo nella vita era quello di offrire un sorriso a chi seguiva le gare davanti alla tivù, oggi mi piace poterne regalare uno a chi ne ha davvero bisogno».
Fa ancora tanto sport per tenersi in forma, quindi.
«Certo, ho appena fatto 1300 metri di dislivello per raggiungere mia moglie al Rifugio Bolzano. Ora, però, non vedo l’ora di scendere e tornare a casa per potermi mangiare qualcosa di serio stasera…».