la storia

lunedì 7 Luglio, 2025

Silvia Lorenzi: «Io, psicologa in Gambia da 10 anni. Povertà, poca istruzione e globalizzazione hanno reso la popolazione fragile»

di

Originaria di Spiazzo, ha aperto un’ente e collabora con il governo: «Ora lavoriamo sulla violenza di genere»

Dopo essere cresciuta tra le montagne della Val Rendena, anche grazie all’esperienza maturata durante gli studi e i primi viaggi, Silvia Lorenzi ha deciso di cambiare completamente vita e di trasferirsi in Gambia, paese d’origine di suo marito. Una scelta che l’ha portata ad aprire «Peace Of Mind», un’organizzazione non governativa che si occupa di salute mentale tramite cui, ogni giorno, lavora con l’obiettivo di aiutare le persone a riprendere in mano la propria vita. «Vedere le persone riuscire a stare meglio dopo che vengono senza alcuna speranza e convinte che la loro vita sia al capolinea è una delle più grandi soddisfazioni» ha sottolineato Lorenzi.
Lorenzi, come si è sviluppato il suo percorso?
«Il mio percorso di studi è iniziato a Tione, poi ho fatto psicologia a Padova. Durante le estati viaggiavo, ai tempi facevo l’animatrice in giro per il mondo. Sono sempre stata molto attratta dalle varie culture e ho sempre avuto un certo interesse per ciò che non conoscevo. Sono cresciuta a Spiazzo, una realtà piccola in cui mi sono sempre sentita abbastanza stretta e attraverso i viaggi mi sono aperta molto a nuove abitudini, cosa che mi ha permesso di arrivare a scoprire meglio me stessa».
E in Gambia come è arrivata?
«La prima esperienza che ho fatto come animatrice è stata a Zanzibar, dove ho capito di avere una connessione forte con l’Africa. Facendo poi, nel 2005, un tirocinio a Trieste all’interno di un’azienda sanitaria ho conosciuto mio marito. Mi sono spostata a Milano dove ho studiato psicoterapia e abbiamo avuto i bambini. Nel momento di decidere dove stabilizzarci ci siamo confrontati e mio marito non voleva venire in Trentino, mentre io avevo la consapevolezza che non fosse proprio il mio habitat. A Milano, invece, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Così ho proposto di andare nel suo paese, in Gambia, e alla fine ci siamo trasferiti qui nel 2015».
Il primo impatto come è stato?
«Siamo arrivati in pieno regime dittatoriale, ma non avevo alcuna preoccupazione. Ricordo che mio fratello mi chiese se fossi normale perché tutti scappavano da qui, mentre io venivo per scelta (ride; ndr). Per me era la scelta più corretta, anche perché così i bambini avevano la possibilità di conoscere parte della cultura e delle loro origini africane. Poi per me vivere in un paese tropicale sul mare era letteralmente un sogno, inoltre è un paese internazionale con persone da tutto il mondo. La dittatura è poi caduta l’anno successivo».
E a livello lavorativo?
«Inizialmente è stato un po’ traumatico, tante cose sono completamente diverse tra cui anche il rapporto con le persone. Ho cercato lavoro non senza difficoltà, non c’erano posti per psicologi. Dopo una breve esperienza al Sos Children Village, ho deciso di aprire “Peace of Mind”, un’organizzazione non governativa insieme all’aiuto di un assistente sociale. Ora siamo attivi dal 2018»
Di cosa si occupa esattamente?
«Mi sono dedicata alla pratica clinica privata e in più facciamo progetti con diverse organizzazioni. Collaboriamo anche con il governo e offriamo molti servizi. Siamo anche focalizzati ad aumentare le competenze nel settore psico sociale. Qui ci sono tante vulnerabilità ma mancano esperti del settore».
Quali sono le principali vulnerabilità?
«C’è il tema della povertà e della mancanza di istruzione. La dittatura ha tenuto il paese fermo per 22 anni e ha portato anche diversa violenza con molte persone uccise e torturate, quindi ci sono diversi cittadini traumatizzati. Abbiamo poi il tema dell’immigrazione con tanti giovani che decidono di andarsene sparendo per anni. Tra le questioni attuali c’è anche un grande gap tra le generazioni: i genitori sono tradizionalisti e molto religiosi, mentre i giovani sono stati catapultati nel mondo globale e si sentono completamente persi perché non si ritrovano nell’approccio dei genitori e magari iniziano a consumare droga. Sono tante sfide difficili da contenere. Noi cerchiamo di portare l’attenzione sul benessere psicosociale, cercando di puntare molto sulla prevenzione. Va anche detto che il governo non ha tutti questi soldi da investire per questo, però a piccoli passi cerchiamo di fare il nostro. Ora stiamo affrontando il tema delle violenze di genere e siamo in un ospedale a offrire servizi alle vittime».
Com’è la situazione relativa alla salute mentale in Gambia?
«C’è ancora una sorta di credenza popolare, soprattutto tra i più anziani, per cui la salute mentale sarebbe collegata alla possessione degli spiriti e questo rende le cose complicate perché alcuni finiscono per peggiorare la propria situazione Tra i giovani, però, noto che c’è più attenzione e ultimamente mi stanno contattando tante persone grazie a Chatgpt. Utilizzano l’intelligenza artificiale per capire determinante sensazioni e scoprono di avere un problema legato alla salute mentale. Grazie alla tecnologia, quindi, si sta costruendo maggiore consapevolezza. Piano piano le persone si rendono conto che le cose si possono affrontare e risolvere».
Tornerà mai in Trentino?
«Assolutamente sì. Una volta che i miei figli si sposteranno per l’università vedremo quello che succederà, mi piacerebbe avere la possibilità di lavorare anche lì. Vorrei coltivare qualcosa in Trentino perché comunque resta la mia terra. Non so, però, se resterei lì fissa per l’intero anno».