Il caso irrisolto
giovedì 3 Luglio, 2025
Spariti da Fiavè: dopo 13 anni Renato Bono e Carla Franceschi sono ancora nella lista degli scomparsi
di Benedetta Centin
Dovevano imbarcarsi per il Kenya ma di loro si sono perse le tracce esattamente tra il 2 e il 3 luglio 2012. Passaporti e valigie ancora da ultimare sono rimasti a casa

Spariti il giorno in cui avrebbero dovuto imbarcarsi per il Kenya. Prima ancora di mettersi in viaggio. Passaporti e valigie ancora da ultimare sono rimasti a casa. Non le loro patenti e la loro auto, mai più avvistata. Muti i telefoni. È un mistero lungo 13 anni (proprio oggi) quello sulla scomparsa di Renato Bono e Carla Franceschi, coppia di commercianti di piastrelle e sanitari per bagni svanita nel nulla nella notte tra il 2 e il 3 luglio 2012 dalla frazione di Favrio di Fiavé, paese di poco più di mille anime nelle Giudicarie. I loro nomi sono ancora nell’elenco delle persone scomparse del Commissariato di Governo e non risulterebbe essere stata attivata la procedura— prevista per legge trascorsi i dieci anni dalla sparizione — per ottenere la dichiarazione di morte presunta. E non sono più emersi elementi tali da far riaprire l’inchiesta penale archiviata nel 2013.
L’ultima cena con i parenti
I due conviventi, allora 49 anni lui, origini emiliane, e 52 lei, reduci entrambi da matrimoni naufragati, la sera prima di essere inghiottiti dal nulla avevano cenato con i loro cari: i genitori di Renato, ferraresi allora sfollati per il terremoto, la figlia di Carla, Christel, e Valentino Gregori, padre della giovane ed ex marito dell’imprenditrice. Un ultimo saluto che si è poi rivelato un addio. Un momento in famiglia prima di partire, all’indomani, per il Kenya, dove avevano intenzione di investire in un resort turistico in costruzione sulle coste. Un progetto che avrebbe visto coinvolta anche una misteriosa donna, Oriretta. Ma quel volo intercontinentale i due imprenditori non lo hanno mai preso. I biglietti mai pagati e ritirati. Tanto che l’intermediario d’affari che si era imbarcato a Verona, quando non li ha visti sul volo in partenza da Roma, ha rinunciato a sua volta al viaggio. L’unica certezza è che fino all’una di notte di quel 3 luglio 2012 le luci dell’appartamento di Franceschi e Bono erano accese e l’auto di lui era nel piazzale del sottostante negozio. La mattina alle 8 non c’erano più. Sparita anche la vettura.
E se un cellulare era rimasto in carica, l’altro risultava spento. In casa erano rimaste le valigie con alcuni vestiti sul letto, i passaporti e le carte d’identità sul tavolo, come se i due se ne fossero andati di fretta. Scappati. «In casa non c’era segno di effrazione ed era tutto era in ordine – aveva riferito allora la figlia di lei, Christel Gregori – Era come se fossero pronti a partire ma loro non c’erano. Eravamo d’accordo di vederci ma non hanno risposto e allora sono entrata con le chiavi».
Indagini a tutto campo
Fin da subito i carabinieri avevano verificato che i conviventi non fossero stati vittime di un’incidente. L’intera zona di Fiavé era stata sorvolata dall’elicottero e battuta via terra da diverse squadre dei vigili del fuoco. I militari allora avevano emesso anche un bollettino di ricerche ma nessuno aveva incrociato i due o la Opel Antara grigia del 49enne. Dei fantasmi.
I familiari, che sulle prime avevano ipotizzato che qualcuno li avesse rapiti e li tenesse sotto scacco, si rifiutavano anche solo di considerare l’ipotesi dell’allontanamento volontario. «Non se ne sarebbero mai andati via in quel modo, senza dire nulla. Mamma non lo ha mai fatto» le parole della figlia Christel Gregori che al tempo aveva anche lanciato un appello tv. In quei giorni era stata la sua denuncia di scomparsa a far scattare l’inchiesta della Procura di Trento con l’ipotesi di sequestro di persona. Tanto che, in via precauzione, erano stati congelati immobili e conti correnti della coppia: una misura preventiva, questa, prevista in caso di sequestri a scopo di estorsione. Ma non è emerso uno straccio di indizio in quella direzione.
I carabinieri avevano scavato per settimane per riuscire a chiudere il cerchio, sondando ogni aspetto della vita privata e lavorativa di Bono e Franceschi, ricostruendo gli ultimi giorni; scandagliando i loro conti correnti, i mutui accesi, le posizioni debitorie; sentendo parenti, amici, conoscenti e contatti di lavoro. Anche l’uomo d’affari che avrebbe fatto da tramite per gli investimenti che la coppia era pronta a fare in Kenya, in un villaggio turistico. Una sparizione senza strascichi: non c’erano più stati sms né telefonate ai familiari. Non un prelievo al bancomat, non un movimento sulla carta di credito. Il nulla.
Inchiesta archiviata
Nonostante le verifiche su più fronti durate settimane, gli inquirenti non erano arrivati ad indizi investigativi capaci di tracciare una pista certa, di fornire risposte risolutive. Solo supposizioni. Tempo cinque mesi — era dicembre 2012 — e l’allora procuratore Giuseppe Amato e la sostituta Maria Colpani avevano chiesto di mandare in archivio il fascicolo (è stato poi archiviato dal giudice a gennaio 2013) visto che, nonostante i «diversi e molteplici tentativi di acquisire informazioni che potessero indirizzare le indagini verso l’acquisizione di una proficua soluzione del caso» — si legge nella richiesta — «non sono emersi elementi convincenti», che potessero supportare l’ipotesi di sequestro. E dall’altra non era stato individuato nemmeno «alcun altro reato che abbia determinato come conseguenza la scomparsa di Franceschi e Bono». Insomma, niente che potesse anche lontanamente ipotizzare che i due potessero essere stati vittime di un incidente, o sequestrati e uccisi.
Di qui la conclusione che «ogni ulteriore attività investigativa» fosse da «considerarsi inutile e defatigatoria per l’ufficio» hanno scritto i magistrati, avanzando «come ipotesi più probabile» quella dell’«allontanamento volontario dei due dal territorio italiano». Ed andarsene non è reato, di qui la fine delle indagini.
Forse una decisione, quella di staccare del tutto la spina e sparire, dettata dal fatto che gli affari della coppia, negli ultimi tempi — almeno secondo quanto emerso — non andavano così bene. Tradotto: difficoltà economiche ed esposizioni debitorie. Di qui il progetto dei conviventi di acquistare un resort in Kenya, Paese dove erano già stati in vacanza pochi mesi prima. Ma se davvero di allontanamento volontario si tratta — e qualche comportamento dei cinquantenni, nei mesi precedenti la scomparsa, potrebbe avvalorare questa tesi — perché sparire in quel modo, senza dare più notizie ai loro cari? E perché i familiari, che fin da subito hanno negato potessero essersene andati senza più farsi sentire, non si sono opposti alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta, sollecitando invece ulteriori indagini? Perché non hanno più lanciato appelli per ritrovare i due? Quello che non sfugge, comunque, in questa storia che ad oggi rimane un mistero e su cui è calato il più assoluto silenzio, sono alcune stranezze.
A partire dal fatto che i due, oggi di 62 e 65 anni, sarebbe partiti senza avere ancora acquistato i biglietti aerei. Bizzarro, specie per un volo intercontinentale. Altra anomalia il fatto che nemmeno Orietta, la presunta conoscente, si è presentata all’aeroporto. «A Roma sono salito sul volo per Nairobi ma Carla e Renato non c’erano. Così sono sceso» ha raccontato il mediatore che aveva solo prenotato i biglietti per loro. I due non c’erano, appunto. E non ci sono da 13 anni a questa parte. Almeno non alla luce del sole. Ufficialmente, ad oggi, ancora scomparsi.
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