L'intervista
domenica 27 Aprile, 2025
Hervé Barmasse racconta la sua Argentina: «Un amore primordiale per quelle cime. Bergoglio è riuscito a porre al centro il pianeta»
di Ilaria Bionda
Domani l'alpinista, con Camila Raznovich, darà vita alla serata-evento «Argentina, il viaggio». Il limite futuro? «Riscoprire le proprie montagne»

Il Trento Film Festival viaggia sulle montagne del mondo e quest’anno raggiunge le vette dell’Argentina, Paese ospite della sezione «Destinazione…». Ad esplorarne le cime, ma anche le tradizioni e le diverse sfaccettature, sarà la serata evento di domani dal titolo «Argentina, il viaggio» alle 21 al teatro Sociale, in cui l’alpinista Hervé Barmasse e Camila Raznovich condurranno il pubblico alla scoperta del Paese sudamericano, accompagnati da numerosi ospiti – Daniele Mastrogiacomo, Valeria Margherita Mosca, Elio Orlandi, Valentina Scaglia e Andrés Pablo «Toto Forray» – che, provenienti da ambiti diversi, daranno ognuno un piccolo, ma significativo, contributo. Con la musica di Fausto Beccalossi e Oscar Del Barba e il tango di Giulio Bedin e Sabina Micheli, l’anima argentina emergerà a 360 gradi toccando risvolti tradizionali come attuali, anche grazie alla conduzione di Barmasse, conoscitore del Paese così come delle problematiche legate al mondo montano odierno.
Barmasse, «Argentina, il viaggio» sarà un vero e proprio itinerario tra le diverse sfaccettature del Paese sudamericano. Non si parlerà, quindi, solo di montagna?
«Pur essendo un Festival dedicato alla montagna – il più antico e, mi verrebbe da dire, il più bello – nella rassegna trentina si parla anche di molto altro. La montagna fa ovviamente parte dell’Argentina, ma ci sono tante altre storie da raccontare, si può allargare lo sguardo a momenti e situazioni che hanno cambiato il Paese nel corso degli anni. Noi partiamo dalla montagna perché alcuni alpinisti trentini ne hanno fatto la storia, ma andiamo anche oltre, grazie ai diversi ospiti, per conoscere un’altra Argentina, altrettanto bella e affascinante come quella delle montagne che la rendono protagonista della vita di un alpinista».
Sarà un viaggio emozionale, anche grazie alla presenza di un musicista e due ballerini di tango. Come crede riescano musica e danza a rendere l’anima dell’Argentina?
«Quando si parla di Argentina, si parla per forza anche di tango e milonga. Non potevamo, quindi, separare i racconti e le storie – personali e non – che porteremo sul palco io e Camila dalla musica e dal tango, che rappresentano le radici argentine riconosciute in tutto il mondo. Durante la serata ci saranno dunque degli stacchi e degli accompagnamenti che renderanno omaggio all’Argentina e al racconto degli ospiti, per colpire il pubblico non solo con le parole, ma anche con le note».
Come descriverebbe il suo personale rapporto con l’Argentina?
«La mia passione per l’Argentina deriva dalle immagini, viste da bambino, di mio nonno che girava le montagne del Sud America negli anni ’50 con padre De Agostini, e dalle emozioni derivate. Si tratta, quindi, di un amore primordiale».
Se n’è appena andato un Papa argentino, tra l’altro aperto alle questioni ambientali, importanti in Argentina come ovunque nel mondo…
«Durante la serata ci sarà un accenno a Papa Francesco, perché una delle montagne che ho avuto la fortuna di scalare, con una prima ascesa della parete nord-ovest, il Cerro Piergiorgio, porta il nome di Piergiorgio Frassati, beatificato da Papa Giovanni Paolo II e inserito da Bergoglio tra coloro che verranno santificati nel 2025. Poi certo, quando si parla di cambiamenti climatici sappiamo che Papa Francesco è riuscito a porre al centro anche il Pianeta. E questo, al di là della religione, mi ha toccato veramente tanto».
A causa del cambiamento climatico, è cambiato anche il rapporto con la montagna; l’idea di raggiungere e superare i propri limiti tipica dell’alpinismo deve adesso fare i conti anche con limiti imposti dalla montagna stessa?
«Sicuramente, basti pensare che anche in Argentina ci sono delle montagne che nelle giornate estive più calde sono sconsigliate, perché soggette a crolli di ghiaccio e roccia: fino a dieci anni fa era impensabile. L’evidenza della crisi climatica è nei dati scientifici, ma chi frequenta la montagna la può osservare con i propri occhi. Per questo motivo credo che oggigiorno siamo noi alpinisti a doverci porre dei limiti: ci piace viaggiare, raggiungere le cime dei luoghi esotici, ma dobbiamo essere più consapevoli che le emissioni degli spostamenti sono la causa di questa crisi climatica. Il limite futuro dell’alpinista deve quindi essere quello di contenere i viaggi e cercare di riscoprire le proprie montagne».
Negli ultimi decenni la frequentazione delle montagne del mondo è cambiata anche in termini di numeri, diventando di massa. Da cosa è stato favorito questo cambiamento?
«Qualsiasi attività sportiva outdoor, alpinismo compreso, è cambiata ed è stata resa più facile grazie alla tecnologia, che ha portato a una frequentazione di massa che lascia segni tangibili innegabili. La notiamo sulle Alpi, ma anche sull’Himalaya, con vie normali sugli 8000 prese d’assalto. Questo perché l’uomo non riesce a darsi quei limiti di cui parlavo prima: l’ego è troppo forte e spinge a fare cose che solo con le proprie forze, con meno tecnologia e senza sporcare le montagne, non si riuscirebbero a fare. Tutti crediamo e diciamo di amare la montagna, ma poi vediamo scene pietose che dimostrano il contrario».
Per diversi motivi, sono quindi gli alpinisti a dover cambiare rotta?
«Sì, devono cambiare il modo di frequentare e affrontare la montagna. Qualche anno fa avevo proposto il concetto del “non così lontano” perché credo che l’avventura sia sempre stata una forma di creatività, soprattutto oggi che bene o male tutte le montagne sono state scalate, la dimensione dell’avventura ce la creiamo noi, andando oltre, togliendo la tecnologia».
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